Un post inconsueto, questo, dedicato al Dolce Istrice, una tipica specialità della zona che mia zia preparava come dolce pasquale quando ero bambino.
Ne ero ghiottissimo (anche adesso) e mi è rimasto nella memoria (da cui è riemerso grazie ad un carinissima collega bionda) anche perché legato all’esperienza di alcuni pranzi pasquali a casa di mia zia che erano un vero evento.
Non voglio dilungarmi troppo ma ho vissuto un’epoca in cui stava nascendo una piccola borghesia che faceva grandi sacrifici per conseguire quelli che erano, all’epoca, gli status symbol che certificavano l’avvenuta conquista di un certo benessere.
Certe cose le rammento con orrore, altre sono piacevoli rimembranze, tra queste il dolce di cui scriverò in fondo la ricetta.
Tra quelle sgradevoli c’è il salotto, una stanza sacra, quasi inaccessibile, non abitabile perché custode dei mobili belli da esibire nei momenti di ricevimento degli ospiti per mostrare loro, come dicevo prima, l’agiatezza raggiunta e farli morire di invidia; ovviamente nel salotto le sedie mantenevano il nylon di protezione e tutto, nella stanza aveva la sola funzione di mantenersi intatto per essere contemplato.
In un salotto di mia zia c’erano, in particolare due fantastiche e comodissime poltrone sulle quali, però, mia madre aveva posto l’interdetto: mai e poi mai avremmo dovuto sedercisi perché avremmo potuto rovinarle: in quella stanza c’era anche il televisore, (che avevamo anche noi) ma con una significativa differenza, in quello della zia si vedeva anche Tele Monte Carlo che trasmetteva (forse il giovedì?) i Giochi senza Frontiere, un programma amatissimo da tutti noi.
Quando possibile io e mio fratello ci spostavamo dunque da mia zia e accovacciati sul tappeto ci godevano lo spettacolo di quelle improbabili prove di agilità e ardimento.
Altro prodotto cult, un vero e proprio sostituto simbolico del fallo, era l’automobile: anche in questo caso trattata con tutte le possibili amorevoli cure, tanto da risultare spesso una scomoda tiranna anziché un utile strumento; sull’auto campeggiava, sulla cappelliera posteriore, anche un orribile cagnolino in plastica che salutava le altre famiglie motorizzate, muovendo ritmicamente la testa.
Fortunatamente di questi feticci non ho conservato nulla: la casa è un luogo dove vivere possibilmente con agio e l’automobile è un mezzo di trasporto da usare senza riguardi particolari, affermazioni che mi avrebbero condannato al rogo se le avessi esternate nella mia giovinezza.
Ma veniamo, invece, a quella delizia suprema che purtroppo raramente potevo godere, il Dolce Istrice, ecco gli ingredienti
10 tuorli
300 g di amaretti
200 g di burro
200 g di zucchero
100 g di mandorle
100 g di cioccolato fondente
1 bustina di vaniglia
1 tazzina di caffè ristretto
2 bicchierini di alchermes
3 savoiardi
Ecco il procedimento:
gli ingredienti devono essere a temperatura ambiente.
Spezzettare grossolanamente le mandorle e farle tostare in padella con un filo di burro (proprio una lacrima, giusto per far tostare bene le mandorle); spezzettare grossolanamente anche il cioccolato fondente (ma questo non fatelo tostare).
Preparate un bel caffè ristretto e fatelo raffreddare dopo di che ci farete passare gli amaretti.
Adesso montate il burro con lo zucchero in modo che venga una bella crema quindi aggiungete due a due i tuorli in modo che si amalgamino bene e la crema sia bella consistente.
Unite la vaniglia e metà del cioccolato e mandorle.
Passate i savoiardi nell’alchermes e disponeteli come base sulla quale verserete un primo strato di crema, fate uno strato di amaretti imbevuti nel caffè ed un secondo strato di crema sul quale stenderete il mix di cioccolato e mandorle avanzato (in maniera tal che si creerà una crosticina croccante).
In frigorifero per qualche ora (l’ideale sarebbe prepararlo la mattina per la sera, giusto per darvi un’idea) ed il capolavoro è pronto.
Una raccomandazione: se avete amici golosi ma col colesterolo un po’ alto evitate di farglielo assaggiare, potreste essere accusati di tentato omicidio.
Parma, 14 luglio 2021, memoria di san Camillo de Lellis