Ho seguito con poca attenzione la polemica suscitata da un intervento di padre Giovanni Cavalcoli, frate domenicano, a Radio Maria sul terremoto come punizione divina per la legge delle unioni civili; poca attenzione alle reazioni, immagino isteriche, di tanta parte dell’opinione pubblica, ma il tema è di un certo interesse.
Secondo il religioso, che cita il catechismo (ma non ho i riferimenti) i disordini naturali, come anche il terremoto, sono frutto del peccato originale e fin qui credo che ci sia poco da eccepire: il peccato originale ha spezzato una volta per tutte la relazione pacifica e fruttuosa tra il Signore e l’uomo a partire da quella tra l’uomo e la donna.
Nel libro della Genesi è evidente che Dio punisce Adamo ed Eva allontanandoli dal paradiso terrestre e consegnandoli ad una vita di stenti e dolori.
Tutto inizia con la vergogna dell’essere nudi, mentre prima non vi era alcun problema (Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna, Gen. 2,25), dopo il peccato qualcosa inizia ad andare storto (“Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto”, Gen. 3,10).
La nudità è un problema: “Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.” (Gen. 3,7), ma non finisce qui.
Subito dopo avviene il divorzio, foriero di ben altre future sciagure: l’uomo dà la colpa alla donna, separandosi da lei (Rispose l’uomo: “La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato”. Gen. 3,12).
Ecco la punizione del Signore:
All’uomo disse: “Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero, di cui ti avevo comandato: Non ne devi mangiare,
maledetto sia il suolo per causa tua!
Con dolore ne trarrai il cibo
per tutti i giorni della tua vita.
Spine e cardi produrrà per te
e mangerai l’erba campestre.
Con il sudore del tuo volto mangerai il pane;
finché tornerai alla terra,
perchè da essa sei stato tratto:
polvere tu sei e in polvere tornerai!”. (Gen. 3, 17-19)
Quindi Dio punisce, eccome se punisce e tutto l’antico testamento riporta le punizioni divine che il popolo di dura cervice riconosce come sue: da Sodoma e Gomorra al morso mortale dei serpenti durante l’esodo, dal diluvio universale alle deportazioni a Babilonia.
Il popolo punito si emenda e, col tempo, ottiene il perdono, quindi catastrofi come sanzione medicinale.
Poi viene Gesù che dice qualcosa di diverso o almeno a me vengono in mente un paio di episodi che smentiscono questo assunto.
Il Vangelo di Luca, al capitolo 13:
[1] In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici.
[2] Prendendo la parola, Gesù rispose: “Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte?
[3] No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.
[4] O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme?
[5] No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”.
Il secondo episodio ci vene dal Vangelo di Giovanni, capitolo 9:
[1] Passando vide un uomo cieco dalla nascita
[2] e i suoi discepoli lo interrogarono: “Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?”.
[3] Rispose Gesù: “Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio.
In entrambi i casi Gesù nega che vi sia un legame diretto, da causa effetto, tra il peccato e la punizione.
Non sono un biblista, ma immagino ci siano altri brani del medesimo tenore.
Veniamo a oggi: secondo padre Cavalcoli Dio punirebbe l’approvazione della legge sulle unioni civili mandando il terremoto o perlomeno permettendo che accada; la punizione colpisce uomini e donne, bambini e anziani, omosessuali ed eterosessuali, celibi e sposati, conviventi e concubini di vario genere; di questi quanti portano la colpa per il fatto per cui sono puniti?
Forse qualche parlamentare del territorio che ha perso casa ma nessuno che abbia una qualche responsabilità di quelle leggi è stato punito: non il governo né il parlamento e neppure il presidente della repubblica (so cosa pensiamo in tanti, in merito alla punizione dei nostri politici, ma non è il caso …), cioè coloro che hanno proposto, approvato, emanato la legge.
Vero è che il sentire sociale diffuso era a favore dell’approvazione ma una punizione che non colpisca i reali responsabili e si estenda, invece, ad una inerme popolazione ricorda molto la decimazione che usavano certi ufficiali italiani durante la Grande Guerra o il famoso motto di Mao Zedong ripreso anche dalle Brigate Rosse di infausta memoria: “Colpirne uno per educarne cento”.
Non so quanto sia interessante un Dio così.
Mi viene in mente un altro episodio; stavolta il protagonista e tramite è don Bosco; ebbene il santo ha uno dei suoi famosissimi sogni:
Una notte, verso la fine del novembre 1854, Don Bosco sognò di trovarsi nel cortile circondato da preti e da chierici, quando comparve un valletto di corte con la sua rossa uniforme che, giunto alla sua presenza, gridò:
— Grande notizia!
— Quale? — chiese Don Bosco.
— Annunzia: gran funerale a Corte!
Don Bosco, dolorosamente sorpreso, voleva chiedergli spiegazioni, ma il valletto ripetendo:
— Gran funerale a Corte! — scomparve.
Appena destatosi, preparò subito una lettera per il Re Vittorio Emanuele II, nella quale gli esponeva il sogno fatto. A pranzo comparve tra i giovani con un fascio di lettere.
— Stamane — disse — ho scritto tre lettere a grandi personaggi: al Papa, al Re, al boia.
Al sentire accoppiati questi tre nomi, i giovani scoppiarono in una risata. Il nome del boia non fece loro meraviglia perché conoscevano le relazioni di Don Bosco con le autorità carcerarie. In quanto al Papa, sapevano che era con lui in relazione epistolare. Ciò che aguzzava la loro curiosità era il sapere che cosa avesse scritto al Re. Don Bosco raccontò loro il sogno e concluse:
— Questo sogno mi ha fatto star male tutta la notte.
Cinque giorni dopo, il sogno si rinnovò. Don Bosco è seduto a tavolino quando entra con impeto il valletto in rossa livrea e grida:
— Non gran funerale a Corte, ma grandi funerali a Corte!
Don Bosco scrisse al Re una seconda lettera, nella quale gli raccontava il secondo sogno e lo invitava a impedire che fosse approvato un progetto legge che proponeva lo scioglimento degli Ordini religiosi che non si dedicavano all’istruzione, alla predicazione o all’assistenza degli orfani, e l’incameramento di tutti i beni da parte dello Stato, con il pretesto che « con quei beni lo Stato avrebbe potuto provvedere alle parrocchie più povere». Proponente del progetto era Urbano Rattazzi. Mentre si discuteva questo progetto legge alle Camere, Don Bosco ripeteva ai suoi intimi:
— Questa legge attirerà su Casa Reale gravi disgrazie.
Il Re aveva fatto leggere quelle lettere al Marchese Fassati, che si recò da Don Bosco e gli disse:
— Ma le pare questa la maniera di mettere sossopra tutta la Corte? Il Re ne è rimasto più che impressionato e turbato. Anzi è montato sulle furie.
— Ciò che ho scritto è verità — rispose Don Bosco —. Mi rincresce di aver disgustato il Sovrano, ma si tratta del suo bene e di quello della Chiesa.
In quei giorni Vittorio Emanuele II scriveva al generale Alfonso Lamarmora: «Mia madre e mia moglie non fanno che ripeter mi che esse muoiono di dispiacere per causa mia». Esse infatti erano contrarie a quella legge settaria e ingiusta.
Il 5 gennaio 1855 si ammalava gravemente la Regina Madre Maria Teresa, e il 12 seguente si spegneva con una morte santa. Aveva 54 anni. Il lutto fu universale perché era molto amata per la sua carità verso tutti i bisognosi.
Il giorno 16 la Corte reale non era ancor tornata dai funerali della Regina Madre, quando ricevette l’urgente invito a partecipare al viatico della Regina Maria Adelaide. Essa aveva dato alla luce un bambino otto giorni prima e non si era più ripresa. Quattro giorni dopo, la sera del 20, l’augusta inferma spirava a soli 33 anni di età.
— I suoi sogni si sono avverati — dissero a Don Bosco i giovani al ritorno dal secondo funerale.
— È vero — rispose Don Bosco — e non sappiamo se con questo secondo funerale sia chiusa la serie dei lutti a Corte.
E realmente nella notte dal 10 all’ 11 febbraio, dopo venti giorni di grave malattia, moriva il principe Ferdinando di Savoia, Duca di Genova, fratello del re, anch’egli a soli 33 anni.
Il Sovrano fu talmente turbato da quelle profezie dolorosamente avveratesi, che un giorno esclamò: «Io non ho più un istante di pace! Don Bosco non mi lascia vivere!» E incaricò una personalità di Corte di riferire a Don Bosco queste sue parole.
Anche in questo caso una pesante punizione ma stavolta colpisce la famiglia del re anche se, le due prime vittime, le donne di casa Savoia, erano contrarie alla legge in questione, quindi perchè punire loro e non direttamente il sovrano o, ancor meglio, l’empio Urbano Rattazzi che quella legge aveva voluto?
Il libro di Giobbe, che affronta il problema del dolore dell’innocente, imputa a Dio le sofferenze del giusto ma questi si sottrae alla risposta: “polverizza” la creatura mostrando i muscoli ma non offre alcuna spiegazione soddisfacente.
Il Dio del vecchio testamento poteva permetterselo, l’uomo moderno non mi sembra invece disponibile a tale modalità di rapporto.
Si tratta di rivedere tutta la teologia su questo punto perchè il Signore, quello con cui Gesù intratteneva buone relazioni, non credo sia interessato a punire secondo la logica del padre padrone sadico e dei figli sottomessi e masochisti.
Esiste ed è percorribile, anzi è pensabile e com-ponibile una diversa via che non ceda alla falsa alternativa della zuppa o pan bagnato dell’oscillazione sadismo masochismo?