Oggi debbo ringraziare, ancora una volta, l’ottimo Federico, che ho distratto, in mattinata, coinvolgendolo in un peccataccio culinario: due cannoncini alla crema a testa e caffè. Mi ha dedicato un po’ del suo tempo prezioso, ascoltando le mie preoccupazioni e rispondendomi con la solita delicatezza e competenza.
Mi rammarico di non frequentarlo quanto vorrei e di parlargli, in questo periodo, solo di cose spiacevoli: confido in un futuro migliore.
Mi sono pure confessato, nel santuario di Fontanellato; erano due anni che non lo facevo; l’ultima volta risale ai tempi della mia andata a Modena (e sappiamo come procede); ho uno strano ritegno a confessarmi.
Umanamente è normale provare disagio all’idea di parlare dei propri peccati ad un’altra persona, ma la confessione è la dichiarazione pubblica di avere peccato, cioè il riconoscimento dei propri errori preveduti e voluti.
Errori o peccati che hanno un’influenza immediatamente sociale anche quando commessi nel chiuso delle mura domestiche perchè sono delle violazioni della costituzione individuale (ed un articolo scritto male della costituzione può creare problemi politici e giuridici di non poco conto), con pesante incidenza anche sugli evenuali rapporti sociali conseguenti.
L’importante è, tra le altre cose, confessare le proprie colpe e non il senso di colpa, distinzione di non poco conto: la confessione chiede conoscenza e giudizio.
Alcune peculiarità di questa confessione non le ho molto apprezzate: la mancanza della grata ed il vedere il sacerdote che girava tra le mani il biglietto pubblicitario di un bed and breakfast non mi hanno entusiasmato anche se l’importante era altro.
Un rischio che corro è di ricadere nella tentazione religiosa, nella ricerca di un amore che mi protegga ed ascolti e da dimenticare non appena ricevuto quel che richiesto (o passato il brutto momento per cui vi era stata la richiesta).
Mi sono confessato nella domenica dedicata alla divina misericordia, festa istituita dal Beato Giovanni Paolo II, spinto dagli eventi che stanno devastando le mie giornate, ma anche da una riflessione sulla festa.
Cos’è, in fondo, la divina misericordia? non è un dio buono a prescindere che ama, ama, ama e perdona tutto e tutti come una macchinetta. Non credo sia questo (almeno, credo lo sia nella versione religiosa) quanto piuttosto un Padre che valorizza chi ha saputo fare tesoro dei propri errori, esattamente come il padre della parabola del cosiddetto figliol prodigo.
Il figlio impara dagli errori, torna dal padre, meno ricco di denaro ma più ricco di una conoscenza che non si trova sul mercato e che l’altro fratello, ad esempio, proprio non aveva, pur avendo sempre vissuto nell’azienda di famiglia.
Oggi, dopo anni, mi sono messo nella condizione di figlio prodigo.
Intanto che c’ero ho approfittato per chiedere una grazia; ogni tanto ci provo con risultati non esattamente entusiasmanti.
Ho pensato poi di provare a scatenare le forze del bene: negli anni non ho mai chiesto niente a nessuno; ho sempre fatto una terribile fatica a chiedere, preferisco fare io; da oggi ho pensato che, per quel che mi sarà possibile, cercherò ogni mezzo per venire a lavorare e vivere a Parma.
La necessità è impellente e le mie condizioni sono assai compromesse: mi trovo sul baratro di una disperazione che potrebbe annichilirmi.