Ebbene è giunto il gran giorno: temuto ed atteso il 7 luglio è arrivato. Giorno particolare perchè è prevista la prima prova del concorso per ispettore presso la Polizia Municipale di Modena al quale mi sono iscritto.
Non mi ero iscritto così, tanto per provare, al contrario ci speravo proprio ed era già una settimana che, in ferie, mi ero dedicato a un tentativo di studio (nonostante preponederanti forze nemiche: il caldo afoso, la poca voglia, le necessità varie…) matto e disperatissimo: debbo essere sincero, ci speravo proprio.
Ieri aggiorno il mio navigatore per non avere sorprese stamattina; scelto l’auto, invece del treno per evitare inconvenienti ed insomma…. stamattina mi alzo di buon ora, lavato, sbarbato accuratamente e ben vestito, mi accingo a partire: il navigatore non funziona così che torno in casa, riaccendo il pc e mi guardo su google maps il tragitto, cosicchè parto in ritardo sulla tabella di marcia.
Ad un certo punto mi si accende una spia arancione, è la spia che mi raccomanda di fare rifornimento così scopro che stavo andando a benzina e non a gpl (da quanto tempo?); risolta anche questa arrivo al casello di Modena, casse self service, scelgo quella che ha solo due auto in coda: la prima paga e si allontana velocemente, la seconda non riesce a pagare perchè la cassa non accetta una moneta da due euro: 10 minuti di attesa: ansia in aumento.
Uscito dall’autostrada mi trovo ad un bivio: scelgo per la sinistra (così mi pareva di ricordare dalla mappa) e proseguo fino a che, insospettito mi fermo e chiedo informazioni; un signore molto gentile mi dice, peraltro dubbioso che la strada che cerco (di cui avevo scritto male il nome) è a Modena (e io dov’ero?) cioè dalla parte opposta a quella che sto seguendo io … inversione e via; dopo un paio di richeste di informazioni finalmente arrivo alla sede prevista per le prove.
I test psicoattitudinali mi schiantano, decido di restare perchè sono curioso di sapeere il contenuto della priva scritta ma i test sono un disastro; l’emozione mi gioca un pessimo scherzo e non riesco a riflettere con chiarezza.
Faccio anche la prova scritta, credo abbastanza bene: se avessi superato i test credo mi sarei collocato in una buona posizione.
Abbacchiato me ne torno a casa senza riuscire per un bel po’ con nessuno causa errore di connessione del telefonino; arrivo a casa, metto la bottiglia dell’acqua in frigo e faccio cadere a terra un vasetto di pesto alla genovese che si spande allegramente ai miei piedi mescolato a frammenti di vetro.
Alcune considerazioni: ero convinto di potermela giocare (dopo lo scippo che avevo subito anni fa in un altro comune e scippo è parola gentile) ma è andata male, gli altri inconvenienti sono episodi che mi hanno fatto sorridere pensando ad alcuni conoscenti superstiziosi che avrebbero fatto non so quali riti di scongiuro o avrebbero pensato a chissà quali fatture o macumbe.
L’ho presa male, davvero male anche se, in realtà, cosa è successo? o meglio cosa volevo che succedesse?
Questa domanda, che mi è stata rivolta un paio di giorni prima della prova, è il vero test psicoattitudinale sul quale misurare le mie attitudini e capacità: “che cosa vuole che succeda?” Non è la domanda di chi intende sbarrare qualunque orizzonte, al contrario rimanda a due sottolineature sui verbi volere e succedere.
Volere ovvero cosa lavoro, preparo allo scopo di o meglio per fare in modo che qualcosa accada, anche nella forma negativa dell’astenersi dal ripercorrere le solite strade che sappiamo a quali conclusioni inconcludenti conducono.
Succedere, ovvero imprevisto, non programmato, non predeterminato che è sinonimo di rottura di un ordine, apertura a quello che non rientra nei programmi.
Ricordo alcuni colleghi che, di fronte alla mia idea di partecipare al concorso, mi ricordavano l’adagio “chi lascia la strada vecchia per quella nuova, sa quel che lascia e non sa quel che trova”: nel significato comune del termine questo è un invito a volere che non accada nulla se non nella forma mistica del fato imprescrutabile (per cui le cose vanno bene se non capitano disgrazie). Di fronte a questa frase il giudice dovrebbe comminare almeno un anno di carcere e senza condizionale per il reato di lesioni dolose: lesione al pensiero come facoltà di lavorare perchè qualcosa accada.