Vedere il Cenacolo vinciano era uno dei miei obiettivi da anni, sempre fallito a causa della mia notoria resistenza ad organizzarmi gli spostamenti sul lungo periodo.
Stavolta ce l’ho fatta stimolato adeguatamente da un beneficio collaterale di enorme importanza, la possibilità di rivedere, dopo più di un anno, una carissima amica, che tengo cara nel mio cuore come poche altre persone.
L’appuntamento è in stazione centrale, da lì con la metro ci siamo spostati in zona ed abbiamo chiacchierato e passeggiato fino al fatidico momento.
Buona l’organizzazione, senza fronzoli, con una precisione più svizzero teutonica che italiana, davvero bravi.
Eccoci poi al momento fatidico, l’ingresso al Cenacolo di Leonardo da Vinci: l’aspettativa è stata al contempo delusa e soddisfatta.
Delusa perché mi aspettavo un’opera molto più “vivace” cioè con colori molto più intensi, mentre l’ho trovata sbiadita, ma soddisfatta perché la bellezza di questo capolavoro è innegabile.
Non sono un esperto, lo sappiamo tutti, quindi non mi permetto di dir nulla se non notare che ci sono alcuni apostoli che paiono in posizioni strane; in particolare Sant’Andrea alza le mani come a volersi discolpare riguardo al “Uno di voi mi tradirà” mentre San Pietro ha in mano un coltello che non è proprio rassicurante.
Si potrebbe dire che Giuda Iscariota ha fatto un favore ai suoi 11 compagni, la sua domanda “sono forse io?” scioglie la tensione che animava il gruppo e concentra sul solo Giuda il pensiero del tradimento cosicché gli altri possono “rilassarsi” e scaricare sul traditore manifesto quel che certamente avevano meditato a loro volta. Gesù lo volevano morto tutti quanti.
Sul lato opposto del Cenacolo c’è una bella “Crocifissione”, opera di Donato Montorfano, un abile pittore lombardo di cui non sapevo nulla ma che fa la sua bella figura anche se scompare di fronte alla fama della celeberrima Ultima Cena di Leonardo.
Trascorsi i 15 minuti canonici previsti per la visita, ci concediamo anche l’interno della chiesa di Santa Maria delle Grazie, chiesa domenicana, seconda fondazione dopo quella di Sant’Eustorgio.
Una bella basilica, piacevole da vedersi di cui ho particolarmente apprezzato l’Incoronazione della Vergine fra i Santi Caterina e Domenico e le figure di santi e beati domenicani alle pareti.
Discorso a parte meritano le due belle tombe del conte Ettore Conti di Verampio e della moglie Giannina dei conti Casati di Milano, opera di Francesco Wildt, figlio del più famoso Adolfo (autore da me molto apprezzato): due tombe recenti ma davvero belle.
Usciti dalla chiesa, mi è stata fatta la proposta di spostarci verso Sant’Ambrogio, proposta accettata di buon grado, sebbene non potessi prevedere che non avrei messo piede nella famosa basilica e per via di una piacevolissima sorpresa.
Ebbene sì, c’è stato un imprevisto, di quelli che riscaldano il mio vecchio e stanco cuore.
Sono venuti a salutarmi e a mangiare con noi, i figli della mia amica, due ragazzi splendidi a dir poco.
Uno è un bravissimo studente di fisica, materia a me ostica come poche, l’altro non meno bravo, di medicina.
Del maggiore sono stato padrino di cresima, quindi è a tutti gli effetti, il mio figlioccio.
L’incontro coi ragazzi già da solo è valso il viaggio; con loro, come con alcuni altri amici, c’è stata una sintonia immediata, come se avessimo ripreso un discorso lasciato in sospeso pochi minuti prima: non è cosa che mi accade con chiunque.
Freschezza, semplicità e acutezza di pensiero, grande cordialità, insomma mi hanno commosso; che poi due ragazzi ventenni o poco più, impegnati sentimentalmente e con esami importanti in vista, dedichino del loro tempo per venire a mangiare con me, uno addirittura venendo da Pavia, beh, ne sono ancora emozionato.
Siamo andati sui Navigli, scelto un ristorante greco e mangiato bene (con un solo piccolo neo nel servizio, un inspiegabile ritardo per l’insalata della mia amica che ha mangiato quando noi eravamo ormai alla fine), chiacchierando amabilmente di tutto quel che ci veniva in mente, dai computer quantistici, all’astronomia, dall’ormai immancabile Sheldon Cooper a “How I met your mother” che ho già iniziato a guardare, appena tornato a casa.
Abbiamo poi congedato i ragazzi, ci siamo spostati verso il centro, concessi un caffè freddo (che ho scoperto costare come una parure di gioielli) e la giornata era ormai al termine.
Mi rimprovero di non creare sufficienti occasioni di questo tenore che sono un autentico balsamo e mi riprometto di risentire tutti e in special modo i ragazzi nel giro di pochi mesi: Milano, città che amo molto, non è così inarrivabile da non permettermi di farci un salto con una certa frequenza.
Grazie di cuore a questi cari amici che mi hanno permesso di vivere una giornata fuori dal comune.
Milano, 17 giugno 2021 memoria di san Ranieri di Pisa e del beato Paolo Burali