Cattivo maestro

Andato al lavoro in bicicletta, com’è ormai da alcuni giorni, mi è caduta la catena a metà strada così che ho dovuto mettermi ad aggiustarla sul marciapiedi: transitava una pattuglia in quel momento che, com’è ovvio, manco si è fermata a chiedere se avessi una qualche necessità: non gliene voglio e d’altronde ero abbastanza contento delle decisioni prese in mattinata – cancellazione di inutili numeri di telefono e contatti facebook – mi è sempre difficile mettere ordine come ben sa chi frequenta casa mia – e dello scampato pericolo di ieri da essere imperturbabile a simili banali incidenti. Avevo poi terminato, in mattinata, la lettura di un racconto non proprio entusiasmante; qui di seguito alcune idee.

Tonio Kröger, secondo racconto di Thomas Mann, dopo “Morte a Venezia”; ancora una volta si conferma l’impressione di sgradevolezza ed insieme di fascino: mi ritrovo giovane adolescente che si crogiolava in letture di questo tipo. Ho trascorso anni a perdermi dietro queste elucubrazioni che oggi, fortunatamente, hanno perso un bel po’ di smalto, non sconfitte ancora definitivamente. Resto incatenato, nonostante tutto, al mito della bellezza che è una delle mie fissazioni peggiori così come la tentazione della diversità coltivata, negli anni, come forma di difesa da tutto e tutti. L’ho ritrovato, nel racconto, il senso di solitudine che deriva da un senso di diversità (ma avevo scritto inferiorità) che ho sperimentato spesso nel corso della mia esistenza; noto con piacere che, scorrendo le pagine, non mi sono immedesimato come avrei fatto un tempo e anzi ho notato i miei stati d’animo, mi sono accorto delle esche avvelenate che un tempo avrei inghiottito d’un sol boccone.

 Parto dal fondo del racconto “Ricominciare? Non servirebbe a nulla. Tutto diventerebbe di nuovo così, tutto accadrebbe com’è accaduto. Perchè certi si smarriscono necessariamente, per loro non c’è retta via”.

di chi ha scelto e prederminato che non ci sono alternative.

“Se ha il cuore troppo colmo, se si sente troppo presa da un’esperienza dolce oppure sublime: niente di più semplice! Lei va da un letterato, e tutto torna a posto in brevissimo tempo. Lui le analizzerà e formulerà la sua situazione, la chiamerà col suo nome, la esprimerà e la farà parlare, le liquiderà tutta la faccenda per sempre e la renderà indifferente e non pretenderà neppure di essere ringraziato. Ma lei tornerà a casa come alleggerita, più fredda e illuminata e sarà stupita che in quella faccenda ci fosse, ancora poco prima, qualcosa che la turbava con quel suo dolce tumulto”; mi sembra una tragica parodia di Freud.

Non aggiungerò niente su quanto già detto a proposito dell’assenza, pressochè totale, di un altro; vi sono descritti degli innamoramenti che, in fondo, vengono sublimati nel discorso artistico: in fondo narcisismo di chi  si contempla come “genio”, di chi si pone in quella posizione, godendone masochisticamente.

Non è un buon maestro.

                                                                                                                                                      Modena, 26 maggio 2011

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