Ed eccoci alla sintesi del settimo capito del libro di George L. Mosse dedicato al razzismo; vi si parla di sesso e di mistica della razza; di odore e autori che hanno elaborato deliranti teorie che hanno avuto un considerevole seguito.
Ma bando alle ciance, ecco quanto ha scritto il grande storico.
Parallelamente allo sviluppo della biologia razziale, nel razzismo moderno ci fu anche un forte impulso mistico che aveva al centro il “mistero della razza”.
Questo filone rifiutava qualsiasi collegamento con la scienza, e individuava le radici della razza, sia mitologiche che spirituali, nelle origini nazionali: il passato, la storia di una razza coincideva sempre con la storia della nazione.
Sin dai suoi esordi il razzismo era stato legato alla nascita della coscienza nazionale e, specialmente nell’Europa centrale, la lingua e la storia di un popolo furono utilizzate per studiare le origini razziali dalle quali venivano ricavate anche le virtù della razza.
All’inizio, quindi, vi fu un legame tra la scienza e il mistero della razza perché l’antropologia e la frenologia furono utilizzate assieme ai miti e all’estetica classica.
La separazione avvenne nell’ultimo trentennio del XIX secolo, nel momento in cui nascevano i movimenti eugenetici: il razzismo si distanziò dall’idea della razza come scienza per costituirsi come parte di una nuova religione nazionale, grazie a due fattori.
Il primo fu lo spiritualismo che raggiunse l’Europa degli Stati Uniti, il secondo fu l’aumentato interesse per l’unità nazionale in un momento in cui si accentuavano le lotte di classe e le rivalità per la conquista di ricchezze e status sociali: questi fattori si integrarono perché si nutriva l’idea che l’unità della nazione, basata sulla religione della razza, avrebbe rinnovato la mistica nazionale soprattutto nelle nazioni ancora divise dell’Europa centrale e orientale.
Per quanto compenetrati questi due fattori rimasero distinti perché gli spiritualisti si interessavano a penetrare nel mondo soprasensibile degli esseri spirituali mentre chi cercava di trasformare il nazionalismo in una religione tentò di piegare a questo fine la filosofia idealistica e in particolare Kant.
Lo spiritualismo esisteva già in Europa: nella prima metà del XVIII secolo l’ingegnere svedese Emanuel Swedenborg aveva fondato una nuova chiesa (nel 1767) che credeva in un’azione reciproca tra angeli e spiriti e il mondo corporeo.
Lo swedenborghismo visse anche per tutto il XIX secolo ma l’impulso maggiore alla spiritualità venne, in quel periodo, dalla società teosofica, fondata a New York nel 1875, da Helena Petrovna Blavatsky e dal colonnello H.S. Olcott che si diffuse in tutta Europa a partire, dal 1876, con la società teosofica britannica.
La Blavatsky insegnava, nell’opera Iside svelata, come sollevare il velo che separava l’uomo e i corpi a strali: un adepto avrebbe potuto entrare in contatto con lo “spirito vitale dell’universo”.
Le teorie di madame Blavatsky si rifacevano alle religioni indiane che avevano già affascinato molti europei: attraverso una scienza segreta l’uomo avrebbe potuto conoscere il karma, elemento di derivazione buddista, che avrebbe liberato la morte da ogni senso di angoscia.
Sebbene la teosofia non fosse razzista (anzi fu il primo movimento europeo a sostenere che la religione indiana fosse superiore al cristianesimo) il razzismo le si alleò, anche se la società antroposofica fondata a Berlino da Rudolph Steiner legava spiritualismo con libertà e universalismo.
Furono proprio la Germania e l’Austria che svolsero un ruolo essenziale nella fusione di teosofia e razzismo perché in questi paesi era già viva una tradizione mistica che, peraltro, era stata già da tempo un elemento della nascente coscienza nazionale.
Le origini di questa tradizione risalgono ad un calzolaio del seicento, Jacob Böhme, che divenne un simbolo nazionale per una nazione divisa: questi aveva proposto una religione nazionale che sosteneva nascesse direttamente dal popolo, contro preti e principi.
Secondo Böhme il mondo era dentro all’uomo e di conseguenza l’uomo poteva mettersi in contatto col cosmo attraverso l’immedesimazione con la natura; questo misticismo naturalistico poteva essere utilizzato per rappresentare una possibile unità tedesca realizzabile attraverso la rasserenante unione con il paesaggio nativo che avrebbe permesso di penetrare nell’universo di Dio, superando la realtà materiale.
Il Volk tedesco poteva quindi collegarsi al cosmo attraverso il paesaggio germanico; questa tradizione mistica, fondata da Böhme in Slesia, è rimasta viva fino al XIX secolo com’è testimoniata in tante famose ninne nanne cantate in quella regione.
La teosofia e questa tradizione slesiana si mescolarono con il razzismo verso la fine del XIX secolo, nel tentativo di contrastare il materialismo imperante all’epoca; l’opera più importante che rappresenta questa unione è intitolata Rembrandt come educatore, di Julius Langbehn.
Quest’opera ebbe grande successo perché da un lato poteva essere vista come una critica contro lo spirito borghese, dall’altro poteva essere interpretato come un libro razzista che sosteneva il concetto del Volk germanico.
Langbehn sosteneva che il misticismo trasformasse la scienza in arte e invitava i tedeschi a diventare artisti, come era stato Rembrandt; idee queste che ebbero successo nelle generazioni più giovani che ambivano a essere creative, a differenza dei loro padri, solidi imprenditori e uomini d’affari (e questo fu il nocciolo della ribellione della giovane generazione borghese di fine secolo).
Langbehn aveva unito creatività e razzismo poiché riteneva che solo la razza tedesca di artisti potesse comprendere la natura e l’universo di Dio: il Volk, fondato sulla comune identità razziale, era il mediatore tra l’uomo e il cosmo che era simboleggiato dalla natura in cui si trovava a vivere.
Ogni razza, di conseguenza, aveva il suo proprio paesaggio: la foresta teutonica era quello ariano, il deserto era quello ebraico, a dimostrazione della mancanza di radici e dell’aridità dell’animo di questa razza.
Langbehn credeva anche negli stereotipi fisici e utilizzava la fisiognomica per sostenere la superiorità degli ariani: la rappresentazione esterna del Volk era data dal paesaggio che lo circondava e dall’aspetto esteriore dei suoi membri.
Secondo questo autore erano i tedeschi a detenere il monopolio della forza vitale e quindi anche della creatività artistica; gli ebrei avevano perso da molto tempo la loro anima mentre i francesi l’avevano persa durante le lotte rivoluzionarie; non a caso egli ammirava il medioevo in cui vedeva il migliore ordinamento politico.
Dopo una vita in povertà si era convertito al cattolicesimo ed era entrato in un ordine religioso; sebbene si immaginasse come un profeta isolato, la sua opera ebbe ripercussioni soltanto in Germania; a Vienna, però, altri pensatori stavano lavorando sulla stessa linea di pensiero, senza tuttavia richiamarsi direttamente a questo autore.
fu uno di questi: credente nel karma, anch’egli sosteneva che la natura è la fonte da cui origina la forza vitale per cui ciò che è più vicino alla natura è di conseguenza più vicino alla verità: il passato ariano, così legato alla natura, era quanto di più estraneo possibile al materialismo moderno. L’importanza di questo autore, che non ebbe mai notorietà, sta nel fatto che le sue idee furono riprese, all’inizio del XX secolo, da un gruppo di intellettuali di Monaco che si definivano “filosofi cosmici”; uno di questi, Alfred Schuler, ebbe tra gli ascoltatori di una conferenza il giovane Adolf Hitler.
Un altro profeta austriaco dell’arianesimo fu Jorg Lanz von Liebenfels che da cattolico era diventato pagano su suggestione del movimento “Los von Rom” (indipendenza da Roma) fondato dal pangermanista austriaco Georg Ritter von Schonerer.
Il sogno di Lanz era di far nascere un’eroica razza ariana di superuomini biondi dediti all’occulto: egli fuse il culto pagano del sole, attraverso la dea Ostara, con le concezioni teosofiche in cui il fuoco simboleggiava l’essenza dell’anima per arrivare a sostenere che i nemici degli ariani erano un “oscuro popolo di razza inferiore”, da schiavizzare o da sterminare.
Egli pensava che la pace nel mondo sarebbe giunta solo col predominio della bionda razza ariana.
Lanz fondò un giornale, nel 1905, intitolato “Ostara, Zeitschrift fur blonde” che ebbe una notevole diffusione e che potrebbe essere stato letto da Hitler; sicuramente quest’ultimo conobbe le idee di Lanz perché vi è una fortissima analogia tra le loro visioni del mondo.
L’identificazione dell’ariano con la forza vitale comportava l’ovvia conseguenza di ritenere che gli avversari dell’arianesimo fossero senza anima, isolati dalla natura e dall’universo: poiché era il Volk a mediare tra la forza cosmica vitale e l’uomo non erano possibili compromessi con le ritenute forze del male; nasceva il contrasto tra il popolo della vita e quelli delle tenebre: quando entrano in gioco principi cosmici la lotta un concludersi solo con la vittoria o con la distruzione.
Queste concezioni spiritualistiche e teosofiche della razza rimasero però ai margini del pensiero razziale perché i fautori della razza come religione nazionale sfruttarono piuttosto le tradizioni filosofiche idealistiche.
Ci fu un pensatore, tuttavia, che utilizzò entrambi questi modi di pensiero, Paul Anton Botticher, che prese il nome di Paul Anton de Lagarde che con i suoi “Scritti tedeschi” tracciò la strada per una nuova religione pangermanica.
Egli intendeva preservare e ridare vita alla forza vitale insita nella nazione e nel Volk di cui la politica e l’economia erano solo sovrastrutture: questa nuova fede avrebbe dovuto liberare lo spirito volkisch dal cristianesimo, considerato un soffocante sistema legalistico creato da San Paolo.
Vi sarebbe un dinamismo religioso interiore che guida ciascun Volk al compimento del proprio destino e in tale dinamismo ogni uomo sarebbe in rapporto diretto con Dio; il Volk tedesco, secondo de Lagarde, era quello dotato di maggiore sensibilità spirituale, rispetto a tutti gli altri popoli.
Questo dinamismo spirituale veniva messo ancora una volta in rapporto con la natura.
Egli vedeva negli ebrei i nemici anche se non escludeva la possibilità di accoglierne qualcuno singolarmente, qualora avesse abbandonato la propria religione; auspicava comunque una lotta mortale tra ariani ed ebrei.
La religione di Lagarde fu vaga e anche contraddittoria e ben presto, dal 1880 in poi, altri pensatori lo superarono nel costringere in forme razziste la mistica nazionale: Richard Wagner, Houston Stewart Chamberlain e Otto Weininger furono i profeti di questa razza.
Richard Wagner esaltò la stirpe ariana, Houston Stewart Chamberlain la guerra razziale e Otto Weininger unì razzismo e preoccupazioni sessuali: sangue, guerra e sesso sono tre componenti che mai si sono distaccate dal razzismo.
Wagner ebbe particolare importanza perché la sua influenza fu duratura grazie al circolo wagneriano continuato dalla vedova Cosima e dalla nuora Winifred: i festival di Bayreuth, tenuti annualmente, davano concretezza alle idee astratte e rappresentavano una sorta di tempio dove gli adepti del razzismo potevano celebrare i loro riti.
Da giovane, Wagner aveva partecipato alla rivoluzione del 1848 per poi ritirarsi amareggiato ed elaborare la consueta contrapposizione tra la vita tranquilla in campagna e l’industrializzazione; dalla parte della vita rurale stava, ovviamente, l’originale sentimento germanico.
La razza ostile era rappresentata, oltre che dagli ebrei anche dai gesuiti, dai socialisti e dai francesi, ma in verità l’atteggiamento verso gli ebrei, visti come il nemico di ciò che è bello e buono, fu assai ambiguo: se furono ammessi artisti e direttori d’orchestra o anche sostenitori economici ebrei, ogni minima difformità rispetto a quanto pensato da Wagner veniva imputato alla loro deficienza razziale.
Nei suoi scritti, tuttavia, questa ambiguità scompare in favore di un odio totale verso gli ebrei di cui i musicisti, ritenuti antagonisti, Jacob Meyerbeer e Felix Mendelssohn furono i catalizzatori: l’odio di Wagner, in realtà, era orientato verso l’intero mondo che non corrispondeva alle sue idee.
Wagner non elaborò solo in negativo, contro gli ebrei; suo scopo era anche offrire una concezione positiva del mondo: egli intendeva restituire le verità germaniche ad un popolo che sembrava ignorarle, dimenticando così il patrimonio ereditario del proprio sangue.
Partendo da una concezione pagana in cui la coscienza morale era dominata da divinità pagane, Wagner col pensiero razzista accentua l’aspetto religioso protestante; il protestantesimo gli permise, così, di separare Cristo dalle sue origini ebraiche oltre a considerare i gesuiti come una componente della cospirazione contro la Germania.
La separazione di Cristo dalle sue origini ebraiche non era certo una novità ma con Wagner e sua moglie Gesù viene assunto sotto la protezione della razza superiore: mitologia della razza e cristianesimo si fondono per costituire il patrimonio eterno della nazione tedesca, anzi la salvezza della razza tedesca sarà possibile quando sarà tornata degna di questo privilegio, attraverso pentimento, purificazione e purezza morale.
La purezza, intesa sessualmente, è una costante anche in Wagner ed è uno dei tanti segni della vittoria delle convinzioni morali borghesi cui bisogna attenersi per poter restare i degni custodi del Sacro Graal.
La purezza del sangue come sinonimo di purezza della razza fu una simbologia che si diffuse ovunque visto che Martin Buber utilizzerà lo stesso principio per sostenere il sentimento nazionale degli ebrei, anche se da lui è utilizzata più per definire la nazionalità che la razza.
Il razzismo di Wagner fu esposto anche nei suoi scritti in prosa ma furono le sue opere, anzi i festival, che fecero presa sul popolo tedesco in modo che potesse concretizzare il sogno che veniva proposto.
Houston Stewart Chamberlain fu, invece, quello che fornì le basi filosofiche; pur non conoscendo di persona Wagner, entrò nel circolo di Bayreuth fino a sposare la figlia del fondatore; il suo contributo fu importante perchè Bayreuth ha rappresentato un luogo unico, in Europa, di elaborazione del mistero della razza e di diffusione della filosofia wagneriana.
Chamberlain credeva nell’unità tedesca dovuta al sangue comune e credeva pure ad un cristianesimo germanico identico a quello del suocero; fondava le sue idee su un’interpretazione di Kant in base alla quale esisterebbe un’essenza oltre ragione ed esperienza, la “religione germanica”.
Questa religione era ovviamente caratteristica dell’anima razziale ariana, quella che rendeva i tedeschi industriosi, leali, onesti, secondo i soliti valori borghesi ormai consolidati.
Chamberlain credeva anche nell’esistenza dello stereotipo tedesco e nelle misurazioni craniche ma la religione spirituale era strumento assai più idoneo ad unire un popolo in cui non tutti rientravano negli stilemi ideali.
Tra le varie teorie che sosteneva vi fu anche quella dell’anima ariana di Gesù poiché ritenuto immune da materialismo e vivente secondo amore, onore e onestà; arrivò anche a sostenere che gli ebrei non avevano abitato in Galilea nel periodo della nascita di Cristo, ove era presente una popolazione di origine ariana.
Quest’ultima teoria non ebbe grande importanza al contrario di quella dell’anima ariana di Cristo.
La razza germanica era la salvatrice dell’umanità ed erede di greci e romani; per svolgere la sua missione aveva dovuto lottare contro avversità e nemici tra i quali era ricompreso il cattolicesimo, fondato da uno straniero, l’ebreo san Paolo. La Riforma aveva risistemato le cose, liberando dal servaggio straniero (cioè dal cattolicesimo) l’anima razziale tedesca: Lutero era considerato dal razzismo tedesco, come il liberatore dall’oppressione straniera.
Il nemico fondamentale, tuttavia, per Chamberlain, era l’ebreo, un popolo asiatico entrato nella storia europea in contemporanea ai germani e che, come loro, aveva conservato integra la purezza razziale.
Il Vecchio Testamento era la conferma che lo spirito ebraico era materialistico, legalistico e privo di tolleranza e moralità: gli ebrei erano il diavolo, i tedeschi il popolo eletto, gli altri popoli, incroci impuri, erano solo spettatori del grande duello della storia.
La sconfitta ebraica avrebbe comportato una rivoluzione spirituale immensa perché l’anima razziale tedesca avrebbe dominato il mondo; sarebbero rifiorite le arti secondo una tradizione che originava da Shakespeare, Michelangelo e Beethoven e che avrebbe forgiato la nuova futura razza.
L’autentico stato, secondo Chamberlain, era quello nato dalla Magna Charta e non dal comitatus anche se l’idea di fondo è sempre la stessa: il tedesco deve vivere liberamente la sua creatività, non soggetta a idee e leggi straniere.
Non vi erano interessi economici, ma puramente razziali, mistici, nel pensiero di Chamberlain; una mistica religiosa in cui la fede non poteva permettere compromessi: la guerra tra bene e male, tra creatività tedesca e aridità, non poteva avere altro esito che la vittoria finale o la sconfitta.
Chamberlain ebbe vasta eco nella destra tedesca, mentre Hitler ne rimase indifferente, anzi criticò l’idea che il cristianesimo avesse una qualche realtà spirituale; al contrario quando Chamberlain incontrò Hitler a Bayeruth ne rimase colpito tanto da ritenerlo il futuro profeta dell’arianesimo vittorioso.
Il cristianesimo di Wagner e di Chamberlain era puritano, imperniato sull’idea di repressione del pensiero sessuale, come predicava la morale borghese dominante; ma il problema del sesso e del suo rapporto con la razza si sarebbe riproposto dopo pochissimi anni, grazie all’opera, che ebbe grandissimo successo, di Otto Weininger.
Sesso e carattere, questo il titolo dell’opera, fortissimamente antiebraica, scritta da un ebreo poi suicidatosi subito dopo la pubblicazione, che costruiva il tipo ideale ariano in base a sesso e razza.
Weininger era violentemente misogino: l’uomo aveva lucidità di pensiero, risolutezza d’agire e capacità di elaborazione metafisica, al contrario della donna, incline al compromesso e incapace di pensiero concettuale.
Egli riprendeva le idee di Nietzsche sostenendo che entrambi avevano la medesima visione della donna; il maschio ariano si rifaceva ai modelli greci, ormai conosciuti come modello rassicurante contro l’angosciante confusione della modernità; la donna, al contrario, rappresentava la democrazia liberale, incline al compromesso.
Ovviamente nella realtà Weininger sapeva benissimo che in uomini e donne ci sono mescolanze dei vari caratteri, tuttavia egli ne parla come di principi astratti; la donna ariana però si riscatta grazie alla sua fede nel maschio e nel proprio figlio.
L’ebreo, al contrario, sarebbe totalmente privo di fede, di anima, incapace di elaborazione di idee superiori e perciò privo anche di qualunque idea di stato, insomma un materialista anarchico, oltre che comunista, inteso nel senso di privo di spiritualità.
Weininger stabilisce un’identità tra razza e nazionalità per cui chiunque sia estraneo alla razza non può essere creativo né dotato di spiritualità: abbastanza ovvio è trarre la conclusione che ebrei e donne, essendo privi di sentimento nazionale, non possono avere una vera personalità.
Le idee di Weininger non furono isolate; in Francia Eugène Gellion-Danglar o Maurice Barrès sostenevano teorie per nulla diverse, tutte basate sullo stereotipo dell’ebreo, che assunse dimensioni metafisiche: ancora una volta si riproponeva, così, l’epica battaglia tra luce e tenebre, ove non era possibile alcun compromesso.
Weininger raggiunse il culmine dell’irrazionalismo negando ogni valore alla scienza, considerata materialista: il suo uomo ideale era l’artista e Kant (in accordo con Houston Stewart Chamberlain) il modello di lucidità ariana di pensiero e spiritualità.
Al contrario di Chamberlain, egli però sosteneva che Cristo era ebreo perché solo un ebreo avrebbe potuto conoscere fino in fondo la malvagità umana e perciò cercare di trascenderla: questa soluzione era in opposizione al razzismo espresso nella sua opera ma probabilmente rappresentava un tentativo personale dell’autore per cercare di uscire da un’impasse intollerabile che avrebbe trovato tragica conclusione nel suicidio.
Secondo l’autore di Sesso e carattere la cultura moderna era degenerata, anarchica e priva di originalità in cui l’obbligo di rapporti sessuali aveva preso il posto della verginità; per rimediare a tutto questo era necessaria una nuova religione che distinguesse chiaramente tra cristianesimo e giudaismo, affari e cultura, uomo e donna.
Hitler conobbe l’opera di Weininger e sono rintracciabili analogie tra alcuni passi del Mein Kampf e Sesso e carattere; gli ebrei di Hitler avevano a che fare col sesso, erano, infatti, degli schiavisti bianchi, degli sfruttatori della prostituzione e pronti in ogni momento ad assalire le vergini ariane.
Weininger, in realtà, non era il precursore di una tale idea: già il nero aveva rappresentato il competitore sessuale degli europei: il nero, come l’ebreo avrebbero pervertito il sesso in libidine poiché tutti privi delle facoltà superiori (come sosteneva, appunto, Weininger).
Le fantasie sessuali europee ebbero ulteriore stimolo dalla nuova accentuata sensibilità agli odori che si diffuse in Europa dalla seconda metà del XIX secolo: in casa non erano più tollerati i “cattivi odori” e l’igiene personale aveva assunto maggiore importanza grazie anche ai miglioramenti apportati ai servizi sanitari; nello stesso periodo era venuta in auge anche l’idea del potere curativo dell'”aria pura” della campagna.
Suscitò interesse anche l’opera di Darwin L’origine dell’uomo, che metteva in evidenza il ruolo dell’odore nella vita sessuale.
Razza ed odore erano già collegati fin dal medioevo quando si attribuivano a neri ed ebrei odori caratteristici: nel XIX secolo i ripugnanti odori che provenivano dai ghetti sovraffollati erano attribuiti all'”innata” sporcizia della razza ebraica e non alle situazioni di povertà in cui vivevano gli ebrei.
Questo legame tra razza e odore divenne addirittura una concezione del mondo a fine Ottocento; ad esempio il fondatore dello zoo di Vienna, Gustav Jäger sosteneva che l’origine dell’anima derivasse proprio dagli odori prodotti da processi chimici alla base di vita e pensiero.
Egli sosteneva che ogni razza avesse un odore peculiare e che la malattia stessa producesse un cattivo odore tanto da raccomandare maglieria di lana per impedire la diffusione degli odori del corpo.
Tra le sue idee non poteva mancare quella sull’odore degli ebrei, particolarmente sgradevole, tanto da rendere identificabili gli appartenenti alla razza ebraica grazie all’odore caratteristico dei suoi membri.
Il razzismo, insomma, fu pronto a sfruttare ogni movimento di pensiero e non poteva certo lasciarsi sfuggire sesso e odore per completare lo stereotipo che andava elaborando: pulizia e assenza di odore assurgevano a valori della classe media, come i tanti altri già visti in precedenza mentre le classi inferiori venivano connotate come congenitamente sporche e maleodoranti.
Si consolidava sempre più l’idea che contro gli ebrei dovesse essere combattuta una guerra all’ultimo sangue.