Santo Natale anche quest’anno, come ogni anno, sempre diverso e sempre uguale.
Come ogni volta avverto una particolare insofferenza verso tutte quelle consuetudini che stordiscono (la corsa ai regali e alle cibarie et similia) e fanno dimenticare che il Natale è una festa di compleanno.
Ne aveva detto, ai tempi, S.E.R. Mons. Giacomo Biffi, cardinale arcivescovo di Bologna:
“Il Natale non è soltanto il racconto di ciò che è stato; è percezione di ciò che è. Non è soltanto percezione di un episodio circoscritto e databile; è assaporamento di un’attualità perenne e universalmente efficace, è esultanza per una ricchezza che ci viene donata. Basterebbe a convincercene l’annotazione che il Natale in fondo è un compleanno. Ora i compleanni si fanno per gli uomini vivi. Per i morti – anche se sono grandissimi e famosissimi – si ricordano al massimo i centenari. Dunque celebrare il Natale ogni anno vuol dire esprimere la certezza che Gesù di Nazareth – quel bambino nato duemila anni fa in una stalla – è una persona viva: è veramente, realmente, fisicamente vivo; è ancora principio per noi di salvezza; è ancora il centro di ogni nostra esistenza e della storia intera”.
Questo compleanno è la festa dell’incarnazione, quindi “auguri di buona incarnazione, con oro incenso e mirra, cioè gli unici regali degni di un bambino, non infantili: la sua infantilizzazione (precoce) ne inaugura la povertà intellettuale, una delle due gambe della povertà”.
Questa citazione, come quella che troverete tra poco è presa da Giacomo Contri, da anni mia cornucopia (alternativa al vaso di Pandora), del cui lavoro traggo profitto.
Ebbene Giacomo Contri, con rara acutezza, ha ben individuato l’eliminazione del pensiero di Gesù (detto il Cristo) via banalizzazione – in questo caso infantilizzazione – del bambinello paffuto, povero, profugo, da vezzeggiare come l’innocua creatura incapace di pensiero, vittima di un avverso destino.
A rileggere quel che Contri scriveva nell’ormai lontano 2007 si potrebbe restare stupiti di quanto sia ancora attualissimo (ed urgentissimo) quel che poneva sul tavolo:
“C’è solo una ragione per sostenere che la psicoanalisi non poteva venire inventata da Gesù: per essere poi inventata da un altro ebreo come lui, dopo un lungo e logico tempo di latenza.
La ragione è che la nevrosi, e l’inconscio che ne è la condizione ancora normale, hanno avuto il loro massimo sviluppo, benché moderatamente preesistenti, proprio nel cristianesimo: ciò per la rimozione ad opera del pensiero greco – dico bene “rimozione”, alle calende greche cioè mai – del pensiero, ripeto “pensiero”, di Cristo.
Poi il ritorno del rimosso non è stato mite: per esempio come sangue versato (“Le royaume du Christ est un royaume de sang”).
La massima anzi unica questione teologica è: come possano essere mantenute le promesse bibliche e evangeliche, se non c’è guarigione dalla nevrosi: ora, questa guarigione è impossibile per miracolo divino: ciò che dico ha già il beneplacito divino, perché la psicopatologia è patologia della libertà, non guaribile per causalità quantunque dall’Alto.
Il mio augurio natalizio è di lasciar cadere la necessità della rimozione del pensiero di Cristo, di quello di Freud, e del mio soprattutto (i tre vanno insieme):in questo “mio” ogni bambino potrebbe riconoscersi (col tempo), non sono presuntuoso.
L’uomo narrato dai Vangeli – incarnazione, pensiero pubblico, resurrezione, ascensione – èun caso unico di habeas corpus rispetto alla condizione umana di corpo prigioniero delle catene teoriche imposte al pensiero.
Sottolineo “narrazione”: fede o non fede, essa asserisce desiderabilità di essere e restare un uomo, asserzione nientemeno che come Rivelazione: incredibile!?
Il pensiero di Cristo (mi ripeto): non è con Parmenide: infatti “l’albero si giudica dai frutti”, non dall’albero ossia dall’essere o essere dell’ente, e non è con Platone: infatti ha voluto rimanere uomo cioè corporeo in saecula saeculorum, mentre per Platone il corpo è una prigione (dell’anima, e siamo ancora lì).
Come abbiamo potuto noi cristiani cercare di imprigionare il pensiero di Cristo nel pensiero greco? (è una vera questione), e infatti non ci siamo riusciti: esso deborda da ogni parte proprio come fa l’inconscio.
Auguri di habere corpus!
Per scansare equivoci mistici, corpus significa:
sensibilità, motricità, pensiero, linguaggio.
Ciò che ho appena scritto sarebbe, universitariamente parlando, da libro di quattrocento pagine”.
Dunque auguri a tutti i miei famigliari, da mio fratello e cognata, ai nipoti, alla mia amatissima zia (con il consorte), ai cugini, a tutti gli amici sparsi per lo stivale, dalla fredda e lontana Sondrio passando per Torino, scendendo alla Romagna ove spazio da Ferrara a Ravenna, da Forlì (con Cesena) a Rimini per scendere via via al Molise, alla Roma, caput mundi e chiudere con la terronia felix del diletto Alfuccio barese (con la santa consorte) dove svernano altri amici e colleghi espatriati dalla nebbiosa pianura modenese.
Non tralascio i più vicini amici emiliani, anche questi disseminati tra le nebbie dell’amena provincia parmense ai più popolosi capoluoghi di provincia come Reggio Emilia e l’indimenticata Modena, non meno che – anche in questo caso – le relative campagne e colline; buoni ultimi i miei cortesi e sparuti amici parmigiani.
Credo di non avere tralasciato nessuno e sono certo che nessuno si senta trascurato perché ogni amico è una ricchezza insostituibile, che intendo onorare seppure a distanza.
A tutti e a ciascuno i miei più cari auguri di Santo Natale, con profitto.
Parma, 25 dicembre 2022, Solennità del Natale di N.S. Gesù Cristo