Angela Carini e Imane Khelif: ah la boxe!

Devo essere sincero, l’abbagliante luce mediatica che ha alimentato le polemiche su queste due protagoniste dell’olimpiade francese, Angela Carini e Imane Khelif, mi ha rotto leggermente gli zebedei, che sono un attributo tipicamente maschile ma assorbito da un modo di dire utilizzato ormai ambosessi, quindi utilizzabile senza timore di essere accusati di sessismo, maschilismo e poca inclusività.

Prima di questi giorni olimpici Carini era associabile alla città siciliana e ancor più allo sceneggiato “L’amaro caso della baronessa di Carini” proiettato nel 1975, mio undicesimo anno d’età, che tanto mi aveva inquietato per quella torbida atmosfera di tragedia che si riproponeva identica dopo alcuni secoli.

Dell’altra protagonista manco questi indirettissimi e obliqui riferimenti, nulla sapevo e vivevo benissimo in questo stato di ignoranza beata.

Poi, all’improvviso, è scoppiato uno shakespeariano finimondo, tanto rumore per nulla: le due atlete si devono scontrare, letteralmente prendere a pugni, per una medaglia olimpica e qui, apriti cielo, polemiche su polemiche perché l’atleta algerina viene accusata di essere non ho capito bene cosa, non transessuale, forse intersessuale, forse una donna con l’ormone alto o chissà che altro.

La politica si scatena, in una gazzarra che proprio non mi spiego.

Probabilmente ci sono tanti aspetti da considerare: le regole per la partecipazione alle olimpiadi (che sembrano diverse da quelle per partecipare ai mondiali), che potrebbero pure essere sbagliate ma sarebbe meglio contestarle prima che scoppi la grana e non durante l’evento.

In questo modo si rischia di creare un mostro quando proprio non ce n’è alcun bisogno: piaccia o no, l’atleta algerina è stata ammessa, e non è la prima volta.

La nostra federazione avrebbe potuto ritirare i suoi iscritti contestando le regole, non la persona.

Ci sarebbero immagino altre ulteriori riflessioni sui diritti individuali, ovvero se il diritto di partecipare ad una competizione sportiva sia tale da sopravanzare ogni altra valutazione, insomma un ginepraio da cui pare difficile uscire.

Da parte mia, non mi sono appassionato ma soltanto un po’ intristito perché, lo ammetto, sono intriso di bieco spirito patriarcale, e le donne che si prendono a pugni sono qualcosa di inconcepibile.

La donna è l’angelo del focolare e gli angeli (anche quando mangiano fagioli) non fanno a botte seppur sotto le regole della noble art che, scuserete il mio spirito antisportivo, andrebbe vietata per legge anche per gli uomini.

Sin da bambinello mi insegnarono che le donne non si picchiano nemmeno con un fiore e sebbene abbia avuto esempi in famiglia, di donne decisamente forti e combattive, resto sempre sconcertato di fronte a donne che alzano le mani.

Così fatico ad accettare l’idea di una donna nell’esercito.

Mi rendo conto di essere antiquato ma continuo a preferire l’opzione delle donne che non scimmiottano i maschi nelle attività più stupide quali quelle di dedicarsi alla violenza.

Sappiamo che la violenza è inestirpabile, stante che nessuno è esente dal peccato originale, ma un conto è tollerarne la presenza, tentando di ridurla al minimo possibile senza illusione di eliminarla, altro è ritenere che il suo esercizio sia un diritto per chiunque.

Un amico mi faceva notare che la boxe è uno sport antichissimo (in effetti si praticava qualcosa di simile nelle olimpiadi della Grecia classica) che si è via via evoluto fino a diventare una tecnica in cui non è la sola forza bruta muscolare l’elemento caratterizzante; la boxe è diventata, insomma, questione di tecnica, un duello coi pugni che può essere non privo di una certa eleganza.

Tutto questo non mi ha dissuaso dal continuare a considerarlo uno sport violento, inguardabile, seppur evoluto, in cui si rinuncia alla morte dell’avversario, non più considerato un nemico da eliminare: onore all’opera di civilizzazione che ha compiuto questo passaggio, sicuramente un progresso nella lunga e travagliata storia dell’umanità.

Non farò battaglie per farlo mettere fuori legge perché da sempre i “circenses” hanno svolto una funzione fondamentale.

Ma le donne che si menano, proprio no grazie.

Parma, 1 agosto 2024, memoria di Sant’ Alfonso Maria de’ Liguori, vescovo e dottore della Chiesa

 

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