Due giovani albanesi (o forse uno solo, non si sa esattamente) ma potrebbero essere italiani, poco importa la nazionalità, invitano un ragazzo di 17 anni a fare il bagno (credo) questo ci va tranquillo dopo di che viene legato ad una croce, interrogato attorno ad una possibile liaison con la fidanzata di uno dei due, e, a fronte dell’ovvia negazione dei fatti contestati viene accoltellato in modo da essere sgozzato.
Morte di un diciassettenne; l’avvocato difensore del presunto omicida si affretta a dichiarare in tv che non si tratta di delitto premeditato ma di omicidio d’impeto; capisco che gli avvocati facciano (?) quel che ritengono (spessissimo sbagliando) il loro lavoro e quindi non interferisco con la loro strategia difensiva.
Mi chiedo soltanto, da sprovveduto ignorantello quale sono: si invita un ragazzo in un posto isolato, lo si lega ad una croce, passatempo notoriamente comune tra i ragazzi di quell’età, lo si interroga circa un presunto tradimento di una ragazza e, in un momento d’impeto, gli si taglia la gola, così, con un coltello che casualmente evidentemente ci si porta appresso per difesa personale, si sa mai frequentando certi posti isolati…
Dove stia il delitto d’impeto non riesco proprio ad immaginarlo; e sul delitto mi fermo.
Leggo, oggi, invece, venerdì 24 luglio, le dichiarazioni della ragazza, riportate dal Corriere della Sera: «Sì, l’ha sgozzato, e non lo giustifico, ma non voleva farlo. Mi rendo conto che non è facile capire. Mi si darà della pazza, insensibile, una che vuol comprendere un assassino. Intanto lo amo, è il mio uomo. E poi lo conosco da quattro anni e mezzo, da quando ci siamo fidanzati. È un ragazzo dolce, so bene di che pasta è fatto, conosco il suo cuore. Non è violento».
Immagino che non non volesse effettivamente uccidere il ragazzo; probabilmente mentre lo legava il coltello a sua insaputa gli avrà tagliato la gola, cose che capitano.
“«Era solo accecato dalla gelosia. Certo che non doveva farlo» ribatte subito lei, senza incertezze.”, continua la ragazza per concludere: «Falso. Non è vero che Igli ce l’avesse con me. Era geloso, questo sì. Io ho cercato di convincerlo a lasciar perdere tutto, perché non aveva nessun motivo di dubitare della sua Ambera che lo ama e lo aspetterà».
In tutta questa vicenda c’è un aggettivo che mi inquieta “mio” e precisamente mio riferito a uomo: il mio uomo.
Questo possessivo è inquietante perchè mi assimila l’uomo, che potrebbe essere partner in qualcosa che è un oggetto di possesso.
Mi chiedo come intenda il rapporto questa giovane donna, col suo uomo.
Di lui dice che è geloso e questo soltanto sarebbe già giusto motivo per interrompere una relazione poiché nella misura in cui vi è gelosia, cioè volontà di possesso esclusivo, il rapporto, per sua natura libero, viene sostituito da altro.
Si è passati da un regime di convenienza (con venire, cioè il venire assieme in base ad un criterio condiviso di guadagno) ad un regime di dominio, tirannia, magari ammantata di tanto sentimento a patto di non sgarrare.
La gelosia è il maso chiuso del rapporto.
In questi giorni sto rileggendo alcune opere del Bardo e giusto l’altro ieri ho terminato I due nobili congiunti, dramma romanzesco in cui la gelosia occupa un posto importante.
Shakespeare individua bene alcuni elementi attualissimi: la gelosia è un delirio, un paralogismo che si nutre di ogni elemento fagocitandolo in una costruzione folle.
Uccide il rapporto, è mortifera (ne muore il figlio, privando quindi il regno di un erede e successore, con minaccia anche della sovranità, e la regina, cioè la partner).
Leonte ritroverà erede e partner dopo 15 anni di riflessione su quel che ha compiuto.
In Otello non succede diversamente: sempre vi è il nesso gelosia perdita della sovranità (Leonte diventa tiranno, Otello perde il potere che legittimamente deteneva) morte.
Non vi è amore possibile dove c’è gelosia.
Ora che questa ragazza dica di amare il suo uomo e si impegni ad aspettarlo (e io spero, ma non ci credo vista la giustizia italiana, che gli diano l’ergastolo) potrebbe essere una buona occasione per entrambi per meditare su quel che è accaduto; riprendo da Giacomo Contri l’idea che nessuno deve giustiziare Caino (anche se la tentazione è forte) perché ha la possibilità di diventare (com’è diventato) costruttore di città, cioè ha saputo istituire rapporti secondo un diverso ordine giuridico rispetto a quello omicida precedentemente adottato verso suo fratello Abele.
Solo con un costruttore di città è possibile amore, altrimenti attenzione alle penne come Desdemona insegna.