Ben felice di poter esercitare il sacrosanto diritto di voto di sabato pomeriggio, mi sono recato pochi minuti dopo l’apertura dei seggi presso la mia sezione per poter depositare, nel segreto dell’urna, quel che la mia coscienza di cittadino mi ha ispirato di prescegliere come futuro rappresentante in Europa di questa disgraziata nazione.
Ho deciso di utilizzare, quale documento di identificazione, il nuovissimo passaporto, probabilmente unica occasione in cui lo sfrutterò; mi presento, dunque, di fronte ad una corese signorina cui diligentemente consegno tessera e passaporto.
La giovane, evidentemente non avvezza a maneggiare siffatti inconsueti documenti, chiede lumi al presidente: “è valido?”, ne riceve conferma (anche da me) per cui si mette alla ricerca del mio nome che, manco a dirlo, non trova.
Interviene in aiuto il presidente, che a sua volta non mi trova, salvo scoprire che stavano cercando sulla pagina sbagliata poiché il mio cognome, in rigoroso ordine alfabetico precedeva di una pagina quelli che iniziano con “Far…”; infine mi trovano ed il presidente spiega alla ragazza di inserire nell’apposita casella l’abbreviazione “pass”, che le scandisce lettera per lettera, aggiungendo che poi doveva ricopiare un certo numero.
Il presidente, nel frattempo, si sposta all’ingresso per accogliere una votante di sesso femminile mentre io staziono, leggermente perplesso, in attesa della scheda, lui se ne accorge e chiede alla signorina trascrivente: “Può votare?”
Era ovvio che ne avevo facoltà e così la vicenda si chiude con la consegna della scheda e della matita.
Tutto è durato pochi istanti, non voglio drammatizzare, ma ha richiamato alla memoria un altro episodio, di alcuni mesi fa.
Mi trovavo in una stazione ferroviaria, stazionavo sulla banchina del primo binario, in attesa del mio treno, un interregionale, che viene preceduto da un intercity.
Proprio davanti a me la porta del vagone ha qualche difficoltà a chiudersi: il povero controllore fatica non poco cercando di forzarne la chiusura in modo da poter bloccare lo sportello dall’interno, senza riuscirvi.
Stavo per offrirmi volontario per dargli una mano quando è arrivato il suo collega: di buona lena i due sudano e sbuffano nei tentativi, osservati con sguardo di pietosa compassione dai numerosi astanti.
Durante questi minuti di affannosa concitazione arrivano in stazione due ragazze, una col monopattino; devono salire sull’intercity ed in effetti una delle due sale dalla porta del agone a fianco (per poi spostarsi dall’interno verso quella malfunzionante) mentre la seconda sceglie proprio la porta dove stanno lavorando i due ferrovieri; cerca di salire proprio durante le operazioni dei due poveri sudanti e sbuffanti giovanotti, uno dei quali la invita, con cortese encomiabile cortesia ad utilizzare la porta a fianco.
Un attempato mio coetaneo, in attesa accanto a me, manifesta o meglio condivide quel che tutti i presenti credo abbiano pensato, con una sintetica ed efficace espressione del genere “ma questa è scema?”
Non ci sono morali da trarre, sono solo due banali episodi che vedono protagonisti alcuni giovani.
Parma, 9 giugno 2024 memoria di sant’Efrem