Museo del Bijou? Ebbene sì ma andiamo con ordine.
Chi mi conosce, pochi in verità, sa che normalmente rifuggo con sdegnosa supponenza la visita a musei tecnologici, scientifici et similia, nonostante abbia frequentato – con poco profitto in verità – il patrio liceo scientifico Giacomo Ulivi, in Parma.
Di scientifico nulla mi è rimasto né di pratico o di manuale che sia, in questo indegno erede delle conclamate abilità paterne.
Fatta questa tortuosa premessa, ospite dell’amico Giuseppe Zani, dopo avere conosciuto il di lui fratello Paolo, ci siamo recati in un ameno luogo, che mai avrei pensato di andare a visitare di mia iniziativa.
DI cosa parlo lo avete già capito, faccio riferimento al Museo del Bijou: sono stato ben contento di averlo visitato e giudico virtuoso avere accettato un invito a visitare un luogo così lontano dalle mie consuete conoscenze: l’invito, cioè l’eccitazione, che proviene da un altro va valutato e, se conveniente, è virtuoso accettarlo e renderlo potenzialmente fruttifero.
Nel mio caso così è accaduto, per grazia di … cioè per merito di Giuseppe e Paolo Zani.
Partendo dalle origini, devo dire che conoscevo la parola bijou normalmente utilizzata (ma secoli or sono al mondo cui appartengo io, non nell’attualità) nel modo di dire “sei proprio un bijou”, oppure “è un bijou”, traducibile in “sei grazioso esteticamente e di modi” o “è una cosa davvero graziosa”, significato confermato dalla Treccani online che riferisce, come secondo significato, estensivamente: “cosa graziosa”.
Nel primo significato “Gioiello, spec. se di materiali non preziosi (cfr. bigiotteria)” la parola bijou non l’avrei mai utilizzata e, lo confesso, non sarei stato in grado di scriverla correttamente, avendo la convinzione che terminasse perlomeno con una x.
Ma veniamo al dunque: c’è un bel sito dedicato al Museo del Bijou per cui, qualunque cosa vi racconti io, la trovereste comunque meglio esposta lì così posso non dilungarmi a descrivere il museo ma mi limito a raccontarvi perché mi è piaciuto e ritengo valga la pena di essere visitato.
Innanzitutto il Museo del Bijou nasce da un imprevisto e da una risposta adeguata a sollecitazioni impensate fino a quel momento: non nasce da una passione ma il materiale chiamiamolo così “grezzo” offre l’occasione a vari cittadini casalaschi di lavorare, col pensiero prima che con le mani; è un’opera del pensiero di chi si è messo all’opera, su un prodotto destinato alla dispersione e forse alla totale distruzione.
Nasce grazie alla passione che ha saputo suscitare.
V’è poi l’aspetto del lavoro di una serie di persone che, a vario titolo e spesso gratuitamente, hanno dedicato tempo ed energie alla salvaguardia di un patrimonio testimonianza di un’epoca e dello sviluppo di un’iniziativa: dall’idea imprenditoriale di uno, tal Giulio Galluzzi, al successo imprenditoriale di una realtà unica in Italia, descritta fino alla sua crisi e definitiva chiusura, dopo 100 anni.
Scorrendo le vetrine coi tanti oggetti esposti, sono rimasto colpito dalla eterogeneità dei prodotti, che hanno spaziato e sono mutati a seconda delle esigenze e delle mode dei tempi, senza precludersi ogni possibile mercato, da quello religioso, alla pubblicità, dall’oggetto ricordo legato al turismo, ai “sigilli” dei bastoni da montagna.
Colpisce la qualità e l’eleganza di prodotti oggi praticamente scomparsi come i portarossetto e i portacipria, veri pezzi di archeologia; tra i tanti oggetti mi ha colpito una bella spilletta, niente di elegante o prezioso, che raffigura il “Signor Bonaventura“, un personaggio dei fumetti che ha accompagnato la mia infanzia e prima giovinezza (pubblicazione finita nel 1978).
Ma c’è veramente di tutto anche perché le aziende dell’epoca ancora inseguivano più che orientare la clientela: da prodotti per il mondo islamico, ai panorami legati alla pubblicità di luoghi turistici, dai gemelli e spillette per il personale delle grandi navi da crociera, alle spillette con animali o figure di sportivi quali ciclisti e pugili; non mancano anche riferimenti politici – gli stemmi dei partiti di allora (ad esempio il partito comunista italiano e la rimpianta Democrazia Cristiana).
Il mondo del bijou, lo si vede bene a mio parere nelle bacheche del museo, grazie al suo stesso successo diventa un fenomeno popolare.
Il suo stesso successo lo banalizza: quel che in origine era imitazione (invidiosa?) dei gioielli del ceto nobiliare e quindi prodotto di alto livello, destinato alla piccola aristocrazia ed alla borghesia che ai nobili vuole assomigliare e che, comunque aspira al possesso di oggetti da esibire come certificazione di un’agiatezza finalmente raggiunta, ebbene questi prodotti (che mi evocano il Guido Gozzano delle “buone cose di pessimo gusto”) diventano via via sempre più popolari, prodotti in serie, standardizzati, banali appunto.
Il prodotto popolare tende a deprezzarsi, al contrario dei costi di produzione cosicché , dopo il periodo aureo del fascismo, in cui l’industria nazionale era protetta e le commissioni di regime non mancavano, negli anni dal dopoguerra fino ai Settanta del secolo scorso il declino è stato costante anche se la versatilità e la capacità di reiventarsi hanno trasformato l’industria fino a quello che è diventata oggi, meccanica di precisione (se non ho capito male).
Nel salone dedicato alle esposizioni temporanee ho trovato – durerà fino al 16 aprile, un’interessante mostra intitolata “Aqua benedicta“; si tratta di acquasantiere ad uso domestico, oggetti a supporto della devozione, ormai scomparsi (in realtà scomparsi sono sia la devozione sia le acquasantiere).
Assieme ad alcuni pezzi antichi si possono godere anche rielaborazioni contemporanee di alcuni artisti dell’associazione Ceramicarte, la gran parte sono deliziosi.
L’entusiasmo e la competenza di Paolo Zani rendono la visita al Museo del Bijou una vera e propria esperienza immersiva in una storia che è stata quella di un intero paese tanto compenetrate erano le produzioni di bigiotteria e la vita economica e sociale di Casalmaggiore: questo museo va assolutamente visitato in compagnia di qualcuno che sappia trasmettere il patrimonio di pensiero ed iniziative che hanno reso quel che è questo tratto della pianura padana.
Ne sono uscito molto soddisfatto ma la soddisfazione si è ulteriormente compiuta dopo un breve excursus per alcuni luoghi caratteristici del contado quando, in quel di San Giovanni in Croce, altra amena località di cui conoscevo solo il nome, ci siamo accomodati a pranzo in una trattoria che ci ha deliziato coi suoi manicaretti, sempre ospite dei miei anfitrioni.
Una gran bella giornata, grazie di cuore a Giuseppe e Paolo.
Casalmaggiore, 28 marzo 2023, memoria della Beata Renata Maria Feillatreau Martire