Il terzo giorno è dedicato a Xàtiva, meta consigliatami dall’ufficio turistico; per raggiungerla serve il treno, cosa che mi crea una qualche apprensione visto che per quel giorno è stata indetta una huelga da parte dei dipendenti di renfe, cioè uno sciopero. A ciò aggiungo una mia chiarissima dormita, come se avessi voluto assolutamente perdere il treno: nonostante mi trovassi a un centinaio di metri dalla stazione, sono riuscito a perdermi, in modo da arrivare in ritardo.
Il tutto con complicità del solito problema a trovare un posto adeguato per la colazione: entro in un bar (intravedevo all’interno due ragazze sedute ad un tavolino, quindi pensavo fosse aperto) con la gestrice che mi dice che è ancora chiuso (sono le 9.00 del mattino); finalmente trovo in stazione un barettino (sul lato sinistro direzione Plaza de Toros) dove un baldo giovanotto mi fa gustare un (poi bissato) dolce da colazione che scoprirò chiamarsi caña de crema).
Parto infine per la mia meta quotidiana; in 50 minuti di treno sono sul posto, trovo subito le indicazioni per l’ufficio informazioni turistiche dove una signora molto gentile mi chiede da dove provengo e, sentendo che sono italiano, mi spiega che le guide sono solo in inglese o spagnolo. Non ho preso quella in inglese!
Mi fornisce anche un elenco di tutti i ristoranti del paese, con tipo di cucina, giorni e orari di apertura e prezzi, una cosa da sogno; mi informa anche che c’è un trenino che porta al castello, alle 12.30.
La città di Xàtiva, cosa che ignoravo totalmente, ha dato i natali a ben due pontefici, Callisto III ed il famoso o famigerato Alessandro VI, papi Borgia, oltre al pittore Jusepe de Ribera, detto lo Spagnoletto.
Vado quindi a visitare la chiesa collegiata, Collegiata basílica de Santa Maria, che non si rivela niente di particolare se non che ci trovo, come anche in un’altra chiesa, la statua di santa Gemma Galgani che non credevo avesse devoti anche da queste parti.
Giro un po’ per il centro, mi vedo l’ex ospedale, con facciata decisamente interessante e alcune piazze, la cittadina è sicuramente carina, con bei negozi, di livello davvero molto buono.
Mi visito il museo, nel Palau de l’Almudí, che, ovviamente non è che ha tanto da offrire ma alcuni pezzi pregevoli non mancano; una curiosità: il museo custodisce un ritratto di Filippo V, esposto a testa in giù, come segno di protesta nei confronti del monarca che aveva ordinato di incendiare la città.
Vado poi all’appuntamento fatale col trenino che è una roba inguardabile, non mi sono mai vergognato così tanto a stare su un mezzo pubblico; il tragitto per le vie del centro è abbastanza allucinante per i salti cui è sottoposta la mia schiena malridotta, mi ricorda tanto gli autobus di Malta; comunque partenza alle 12.30 arrivo alle 12.45 circa e ritrovo per il ritorno alle 13.42, tutto un po’ troppo di corsa per i miei gusti, ma mi adeguo.
Il castello è, come ho capito che succede spesso in Spagna, molto affascinante visto da lontano, maestoso, imponente, mostra quale livello di organizzazione militare fosse in vita in quelle zone e quanti transiti di eserciti non proprio amici doveva esserci stato in passato; all’interno è abbastanza deludente con ruderi vari più o meno malridotti (e sennò che ruderi sarebbero?).
Finisco la visita con un po’ di affanno per tornare a prendere il trenino (bleah), quindi pranzo con 8 euro, dico 8: piccolo antipasto di insalata e olive, piatto di paella marinara e secondo di seppioline con un sughetto strano, creme caramel, acqua minerale da 1,5 l.
La paella era accompagnata da pane tostato (mangiare il riso col pane, mah) e da una salsina molto gustosa, a base di uova e aglio, che ci ho messo tutto il pomeriggio e la sera per digerirla e fortuna che ho rifiutato il rabbocco della terrina.
Tornato a Valencia proseguo nella visita di luoghi in prima battuta trascurati; è la volta del Museo Histórico Militar, devo aggiungere che, anche in questo caso, ero l’unico visitatore?
Armi di tutti i generi, compresi carri armati, spade pistole, fucili, mitragliatori, militaria, bandiere, uniformi, dipinti, non manca davvero nulla: l’unica considerazione che mi viene in mente è l’enorme investimento che l’uomo ha portato avanti nei secoli, sui sistemi di distruzione di altri esseri umani.
Se solo avesse impiegato metà delle energie a combattere malattie, fenomeni naturali avversi, o comunque pensare a cosa più interessanti, oggi non saremmo l’umanità che siamo, il che è abbastanza banale, a dire il vero.
Intendo dire, però, che l’uomo, da secoli e secoli, ha deciso di puntare come illusoria soluzione dei problemi di rapporto con l’altro, sulla violenza: l’illusorietà sta nel pensare che la violenza, le armi possano offrire una soluzione, il dominio dell’uomo sull’uomo non porta mai a buoni risultati, anche se spesso può accadere che sortisca effetti, temporaneamente efficaci poiché sono tanti gli uomini che hanno “bisogno” di qualcuno che sia causa del loro pensare e quindi del loro muoversi.
Così l’invidia, lo spirito di rapina, la sopraffazione hanno trovato e trovano ancor oggi, la società non è molto migliorata, anzi; ha piuttosto reso più “sfuggenti” i sistemi di dominio dell’uomo sull’uomo.
Durante la via del ritorno assisto ad un lieve incidente stradale: un baldo giovane partendo dalla sosta, facendo retromarcia in modo un po’ sportivo, tampona sul davanti l’auto parcheggiata alle sue spalle, che non aveva il freno a mano tirato per cui si è spostata di un tot…; forse il giovanotto era stato appena sanzionato da un ausiliario del traffico, lì presente; la cosa si chiude comunque in pochi minuti.
Dedico la serata ad un passaggio alla Ciudad de las Artes y de las Ciencias, molto suggestiva al buio.
Mi fermo a cenare in un locale che esponeva un menù del dia con arroz al horno: curioso di provare anche questa versione di riso entro fiducioso, per poi scoprire che per menù del dia loro intendevano solo il pranzo; non polemizzo e mi accontento, si fa per dire di un paio di spiedini non male.
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