Era uno degli obiettivi, la visita alla mostra che le Scuderie del Quirinale hanno dedicato a Raffaello Sanzio, nel cinquecentesimo della morte, ma la tempesta covid sembrava avere reso impossibile questo progetto e invece, la proroga fino ad agosto, alcuni giorni di ferie ed ecco che l’Urbe mi ha accolto a braccia aperte.
Mi sono concesso un paio di giorni, accompagnato dalla mia nipotina ed una sua amica, alla mostra, invece, sono venute anche mia cognata ed una amica sua.
Roma è sempre magnifica, anche sotto un cocente astro infuocato, poi l’emergenza l’ha liberata da un po’ di turisti ed il risultato è una città con poco caos e molto godibile (della sera parlerò a parte), sporca, questo è ovvio, con strade dissestate (la zona della chiesa di sant’Agostino, ad esempio, ha degli avvallamenti ammazza scooter) ma sempre sovrabbondante di fascino.
Partiti senza affanni eccessivi (treno verso le 8.30) dalla stazione dell’alta velocità di Reggio Emilia, siamo arrivati in tarda mattinata a Roma; prima di dedicarci a Raffaello ho proposto una passeggiata, con la visita di qualche chiesa.
Prima tra tutte, la basilica di Santa Maria Maggiore che non vedevo da anni: nessuna fila all’ingresso, non lo ricordavo da tempo.
Poi in giro verso le Scuderie, pranzo veloce, con panino, fila e ingresso, puntuali come a Roma non ti aspetti.
Personale cortese e molto paziente, visto che nel mio gruppo c’erano tre arzille vecchiette che non sono state zitte un istante (le avrei strangolate personalmente una ad una).
Della mostra non c’è molto da dire: numerose le opere di disegno del maestro urbinate, non tante quelle dipinte (anche se ignoro la produzione totale), tutte di grande bellezza.
Un bellissimo Ritratto di Leone X con i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi, ad esempio, è una delle opere che ti accolgono lasciandoti senza fiato; è solo un ritratto, questo è certo, e di potenti, ma l’intensità e l’attenzione ai dettagli è tale da catturare lo sguardo, coinvolgere lo spettatore e trasmettergli quel senso di rispetto di fronte all’Autorità del Sovrano Pontefice che è, ad un tempo, il Papa ed un potente in una riunione famigliare.
C’è poi il Ritratto di Baldassarre Castiglione, ancora un ritratto, ancora un capolavoro ed un programma: ecco com’è il perfetto intellettuale dell’epoca.
C’è poi una serie di soggetti religiosi con Maria protagonista (ma c’è anche un san Giovanni Battista): in tutte le opere spicca, per l’incredibile bellezza, il volto della Madonna.
Un volto che sembra rappresentare un ideale piuttosto che una persona; Raffaello probabilmente quello cercava: non una donna ma l’idea della donna secondo la moda di quel tempo, ed era tempo di neoplatonismo e, quindi, di idealizzazioni.
La ricerca dell’antico, da salvaguardare (ottima idea) e da cui trarre ispirazione come fonte della creatività, è stato proprio il cavallo di battaglia di Raffaello, che compie un’operazione culturale di notevole importanza: nella temperie dell’epoca, in cui il mainstream è l’idea che l’artista è un intellettuale, per nulla secondario rispetto al poeta, l’Urbinate propone esattamente questo, una produzione raffinatissima, in cui l’idea è un ideale, mitico per un verso (la romanità) e futuribile per un altro, come ricerca continua, aspirazione ad una perfezione che si colloca fuori dal tempo.
Mi viene un paragone con la successiva (e imparagonabile) Madonna di Loreto o dei Pellegrini, di Caravaggio, che ho visto nei giorni successivi: qui la Madonna è una donna, non un archetipo, calata nel suo tempo ed in una carne che è imperfezione, sudore, storia.
Ecco poi alcuni ritratti di donne, dalla famosissima “Fornarina” a “La Velata”; in ogni opera la perfezione formale incanta lo spettatore, quasi a chiedere devoto raccoglimento di fronte a tanta “Bellezza”.
Oltre ai dipinti di carattere sacro amo particolarmente i ritratti ed ecco il Ritratto di Tommaso Inghirami detto “Fedra”, ma soprattutto quelli del Cardinal Bibbiena e di Giulio II, il “terribile” pontefice, rappresentato in forma meno ieratica del consueto e in atteggiamento di meditazione, quasi indifferente rispetto allo spettatore.
Il Sogno del cavaliere è un’altra opera splendida, impregnata di neoplatonismo: all’uomo addormentato due figure femminili compaiono in sogno per offrirgli le alternative dei piaceri materiali e di quelli intellettuali, secondo uno schema che si trova declinato anche nelle varianti di Ercole al bivio.
Tra le altre opere scelgo di chiudere con il Cristo benedicente, opera giovanile, molto ma molto bella, con un Gesù molto “metafisico”.
L’impressione che ne ho ricavato è quella di un grandissimo artista, dalle capacità tecniche straordinarie, e di un intellettuale, ma di un intellettuale che non parla il linguaggio cristiano, pur utilizzandone le forme.
Ci ho trovato Platone, le idee platoniche, non Gesù Cristo.
Roma, 2 luglio 2020 memoria di San Bernardino Realino Sacerdote