Di nuovo a Roma, non mi sottraggo mai agli inviti anche se la partecipazione a manifestazioni pubbliche mi crea un certo disagio, stavolta per sensibilizzare la politica al tema della violenza contro gli uomini in divisa.
Motivo encomiabile anche se mi è parso, nei fatti, più una manifestazione per dimostrare l’esistenza di un sindacato di polizia (di cui francamente non ricordo il nome), la sua forza e la capacità di mobilitare altre divise.
Tanti gli esponenti politici intervenuti per un saluto o un discorso (sotto la pioggia a tratti scrosciante); ne ho tratto una pessima impressione: tutti esponenti del centro destra, molto empatici con la folla, grandi slogan, grandi promesse e … la legge di riforma della polizia locale al palo, come sempre.
Era evidente, nel contesto, che noi non c’entravamo nulla, che le loro battaglie non saranno mai anche le nostre ma questa è la politica italiana, inutile farsi illusioni.
La parte positiva è venuta dopo, come mi aspettavo: prima col pranzo in compagnia di cordiali colleghi poi con l’inizio delle mie solite escursioni.
Un primo tentativo al Museo Barracco è miseramente fallito, vista l’imminente chiusura, come mi ha informato un cortese addetto (che ho poi rivisto con piacere in occasione della visita), per cui ho dirottato l’obiettivo verso il Museo di Roma, in Palazzo Braschi.
Uno dei tanti luoghi di Roma che merita un passaggio, forse non è il primo in classifica ma uno dei tanti che è bene scoprire, magari approfittando di una giornata uggiosa o di un riparo durante uno degli splendidi acquazzoni romani.
Fatto sta che sono entrato e non me ne sono pentito; certo c’è la carrozza, una portantina, ma quel che mi ha attirato, sin da subito, sono i busti, quello di Carlo Barberini, opera di Francesco Mochi, quel Mochi che ha lavorato per il Ducato di Parma e Piacenza e precisamente a Piacenza, alle statue equestri di Ranuccio e Alessandro Farnese che fanno splendida mostra di sé in piazza Cavalli.
Della famiglia Barberini ci sono altri ritratti, quello di Taddeo in veste di prefetto (opera di Bernardino Cametti), che mi è piaciuto meno di tutti e quelli dei cardinali Francesco e Antonio (di Lorenzo Ottoni), opere davvero splendide.
Non mancano, anzi abbondano i ritratti dei pontefici, altra mia insana passione: Clemente XII, Innocenzo XII, Clemente XIV e Pio VI; mi piace molto scrutare i volti dei romani pontefici, espressivi anche nella loro evidente bruttezza fisica.
I ritratti di cardinali e pontefici anche su tela accompagnano la mia visita fino alle due tele che hanno attirato la mia attenzione di incallito clericale: il cardinale Giulio Alberoni riceve il galero cardinalizio di Clemente XI e Fabio Chigi nominato cardinale da Innocenzo X.
Opere non belle, questo è certo, ma testimonianza di una cerimonia che aveva un enorme valore perché all’epoca i cardinali qualcosa valevano e non solo come ministri di Dio (che non è nemmeno detto lo fossero).
Ancora opere in marmo o in gesso di grande interesse: il busto di Maria Mossani, fanciulla, attribuito a Bertel Thorvaldsen; una volta cresciuta, la ragazza tenne un celebre salotto ricordato da D’Annunzio ne “Il piacere”.
Ecco ancora Psiche svenuta di Pietro Tenerani, uno scultore molto bravo di cui il museo espone un bel numero di opere, tra le quali, ad esempio, il busto di Livio Odescalchi e quello di Pellegrino Rossi, sfortunato ministro di Pio IX.
Un altro busto immortala Maria Maddalena Morelli, una donna licenziosa dalla vita turbolenta e curiosa, poetessa che ottenne grandi successi e fama nella seconda metà del Settecento, assieme ad un altro, don (nel senso spagnolo del termine) Luigi Gonzaga (omonimo del santo), giovane – aveva 18 anni di meno – della predetta poetessa, altra figura turbolenta a cavallo tra Sette e Ottocento.
Chiudo con l’autoritratto di Antonio Canova ed una splendida veduta su piazza Navona.
Passiamo ad un altro materiale, il mosaico: ci sono due frammenti del mosaico dell’abside della basilica costantiniana di San Pietro, risalente al rifacimento ai tempi di Innocenzo III, un terzo si trova al Museo Barracco; il ritratto di Innocenzo III e la Fenice coronata dal disco solare, simbolo della resurrezione, sono due gioiellini da non perdere.
In ultimo rimando ad un’opera che non mi aspettavo di trovare qui: “Sole d’inverno” di Amedeo Bocchi, pittore parmigiano (in fondo anche qualche parmigiano illustre c’è, incredibile ma vero)
In una parte del palazzo ho approfittato di un’esposizione dedicata alle opere di Comenio, lodevole iniziativa, anche se non mi ha particolarmente entusiasmato.
La giornata è continuata con due chiese, giusto per non perdere l’allenamento: Sant’Andrea della Valle e Santa Maria in Aracoeli.
Della prima scriverò a parte, beh forse è meglio anche che lo faccia per la seconda, così non appesantisco questo post.
Oggi a Rimini si festeggia San Gaudenzio, patrono della città, ricordo dei miei primi anni di agente della polizia locale.
Roma, 14 ottobre 2020