Dopo una mattinata un po’ convulsa, oggi, per la prima volta, è accaduto che sia uscito a pranzo con due colleghe, sono trascorsi 4 mesi e 7 giorni da quando ho iniziato a lavorare dove mi trovo attualmente. La bella notizia, in realtà, è molto stemperata dal fatto che nessuna delle due lavora nel mio ufficio. Debbo mantenerne l’anonimato per non incorrere nel rischio di scatenare invidie e pettegolezzi. Ne ho tratto l’incoraggiamento ad andare a Berlino, città che desidero visitare da anni; ci andrei da solo perchè mi capita sovente di preferire la solitudine o di averne necessità, quasi a volermi staccare da tutto e tutti.
So che non reggerei nel lungo periodo, ma nel medio breve l’idea di vivere in un monastero, tacendo, leggendo e pregando mi affascina molto.
Penso alla regola degli ordini religiosi e monastici.
La regola normalmente viene elaborata dal fondatore, cioè da una persona che ha sperimentato personalmente il guadagno nel seguire determinati comportamenti; a seguito di richieste e insistenze questo sant’uomo (o santa donna) si decide a formalizzare il suo stile di vita in uno strumento che, con l’approvazione della Sede Apostolica, diventa normativo per coloro che aderiscono a quello stile di vita.
Testo normativo, con tanto di previsione di punizioni anche severe, fino all’espulsione dall’ordine.
Si può considerare diritto? e che rapporto c’è tra il diritto statale e la regola monastica?
Almeno per il monachesimo la regola costituisce la norma che anticipa la vita in paradiso dove tutti sono fratelli con un fratello maggiore che è Cristo, ovvero l’Abate.
Non è ostile al diritto statale che rispetta e non ostacola, è perfetta perchè nulla della vita quotidiana vi trova eccezione, viene ricevuta da qualcuno cui si riconosce autorità e autorevolezza.
Potrebbe essere, come il matrimonio, un caso di cosiddetto primo diritto? mentre il secondo diritto (quello statuale) si riduce alla fine ad una sorta di “se non per amore, per forza”, la regola si potrebbe considerarla un caso di “non serve l’esercizio della forza”. Le colpe, cioè le infrazioni alla regola, vengono confessate, infatti, pubblicamente, nel famoso capitolo delle colpe e immediatamente sanzionate dall’abate che statuisce anche la punizione/penitenza, senza strascichi e con riabilitazione: i monaci non la tirano alla lunga.
A tacere del resto, delle tante cause che hanno portato alla crisi del monachesimo, l’attuale stato di salute della chiesa tutta mi dice che anche la soluzione monastica non è priva di errori ed insidie.