Ieri sera, a Fontanelle, nella chiesa di San Martino, c’è stato il santo rosario in suffragio di Federico, al termine di una giornata impegnativa.
Poche ore prima avevo ricevuto un prestigioso regalo, un crest importante, ma la contentezza per quell’evento non ha avuto nemmeno la forza di emergere, tanto ero concentrato sull’evento serale che mi attendeva.
Al quale sono arrivato in leggero ritardo, a causa di un malefico navigatore che mi ha fatto sbagliare strada (fosse stata la prima volta); mi sono trattenuto sul piazzale antistante la chiesa, gremito come l’interno, per pregare le decine di Ave Maria che scivolavano velocemente nel buio della sera; poi è arrivato anche Paolo, a completare il terzetto.
Oggi c’è stato il funerale, ho rischiato di arrivare tardi anche stavolta, ma fortunatamente così non è stato, sono arrivato puntuale.
Ne avresti sorriso, mi avresti preso in giro come sempre, e mi avresti detto che il ritardatario cronico è Paolo (ricordi quella sera a cena al Roadhouse? quando Paolo sembrava non arrivare mai), avresti riso delle mie goffaggini con la consueta benevolenza.
Prima sono passato in ospedale, per vederti l’ultima volta, com’era giusto e doveroso che fosse: un momento importante, dove ho toccato con mano le testimonianze della stima che tanti, tantissimi, nutrono nei tuoi confronti.
Se ti raccontassi quel che è successo ti metteresti a ridere: ho incontrato svariate persone, una l’ho rivista con piacere, Guido, di cui mi hai parlato sempre con stima e affetto (mi ha fatto piacere rivederlo anche se solo per qualche istante) ma, senti questa: si sono avvicinati due signori attempati che ci hanno salutato (me e Guido) come se ci conoscessero da tempo.
Ho approfittato di un istante di loro distrazione per chiedere a Guido (facendo una pessima figura ma pazienza) chi fossero e lui stupito: “loro due? non li riconosci? sono X e X, compagni di classe”; i nomi li ricordavo ma mai li avrei riconosciuti.
Qualche altro mi ha salutato, allo stesso modo, qualcuno riconosciuto, altri e altre no.
Credo che mi avresti sbeffeggiato per anni dopo una prova così scarsa delle mie abilità di riconoscimento.
Poi l’uscita e, ancora una volta, la paura di arrivare tardi, ma stavolta no, mi sono ritrovato in chiesa, dall’inizio e poi ad ascoltare la lettura del Vangelo: “Beati i miti, beati i poveri di spirito, beati gli afflitti, beati i puri di cuore …”, poi gli interventi di parenti ed amici.
Tutti hanno delineato un qualche frammento di te, hanno evidenziato quel che hai trasmesso loro volontariamente o inconsapevolmente, con le tue azioni, il modo di fare, la disponibilità.
Davanti alle tue spoglie mortali quell’elenco di beatitudini, alcune paradossali per i nostri miseri intelletti, mi sussurravano inquietudini: mi chiedevo come trasformarle in eredità, la tua eredità, come non disperdere quel che mi hai lasciato e che hai lasciato a ciascuno dei presenti (di persona o idealmente).
Pensavo che noi non sappiamo quel che saremo ma soltanto che saremo simili a Lui e che, quindi, se anche a me verrà concessa la grazia di arrivare in quel posto che viene convenzionalmente chiamato paradiso, ci ritroverò quanto di vero e buono ho avuto l’onore di condividere con te.
Mentre ascoltavo facevo il paragone tra le beatitudini e la tua vita e ricordavo gli episodi che mi hai raccontato tu stesso, in cui ti incazzavi e duramente con qualche collega che ritenessi non stesse ben lavorando, perché sei mite e buono ma quando ti arrabbi, beh è bene girarti al largo, ma solo per un po’, perché poi recuperi il rapporto, senza strascichi ed ombre residue (non immagini quanto ti abbia da sempre invidiato questa preziosissima virtù).
Le tue arrabbiature, ricordo bene alcune descrizioni che mi lasciavano perplesso, erano sempre perché pretendevi dagli altri la stessa serietà, direi l’amore che mettevi tu, nel delicatissimo lavoro di ogni giorno accanto a persone sofferenti, mai per questioni personali, di prestigio o di interesse.
Poi pensavo a quando ho avuto bisogno di te a casa mia e sei sempre passato, senza guardare orari e impegni; mi viene in mente quando ti ho detto (a posteriori) che mi avevano operato al naso e poi all’orecchio (l’avevo nascosto a tutti, te compreso) e me ne hai dette di tutti i colori (meritavo tutte le tue contumelie ma sai che sono testone) perché non ti avevo avvisato; avrei dovuto farlo, in effetti, mi avrebbe fatto molto piacere averti accanto mentre mi addormentavo ma la mia innata paura di disturbare (quella che tante volte mi ha trattenuto dal venire a casa tua, a trovarti, sono un somaro, lo sappiamo entrambi) me lo aveva fatto tenere nascosto (o forse era un modo per esorcizzare la mia paura).
Quando, invece, mi hai sedato per la gastroscopia o quando facevi, per gioco, l’assistente di poltrona a Paolo e approfittavi della mia minorata difesa e io, a mia volta, mi vendicavo dandoti fastidio mentre eri, a tua volta, sotto le grinfie del nostro comune amico.
Ho ancora le foto della tua faccia con la bocca spalancata sotto le mani sapienti di Paolo.
Ricordi quante volte abbiamo parlato dei dubbi, dei momenti di stanchezza, dell’apprensione per il futuro dei figli, della morte di tuo padre?
Non si possono sintetizzare tanti momenti, né si può riassumere una vita in poche parole.
Al cimitero ho atteso che si compissero le operazioni di rito, mi si sono affiancate due persone, una mi ha detto che avrebbe voluto salutarmi ma, passato un istante davanti alla tua lapide, sono scappato via, sono tornato a piedi, da solo, al parcheggio; durante la strada sono scoppiato, non visto, in un pianto dirotto, senza ritegno.
E ancora piango e guardo il tuo volto sull’icona che ho sul cellulare tra i numeri a portata di mano (e infatti ogni tanto partiva una chiamata involontaria) e verso le 18.30 penso che devo chiamarti o aspettarmi la tua chiamata: poche battute ma rassicuranti.
Avrei dovuto fare di più, molto di più e questo è il mio cruccio; ho sprecato tante, troppe, occasioni, ma so che mi hai già perdonato.
Continua, allora, a essermi amico, compagno, guida e, adesso, custode.
Ti saluto, infine con le parole di un personaggio di cui ti ho parlato spesso, proprio in riferimento alla morte, Aragorn, protagonista de “Il signore degli anelli”; queste poche parole sono una sintesi come mai riuscirei a pensare io:
“Ma non lasciamoci sopraffare dalla prova finale, noi che anticamente rinunciammo all’Ombra e all’Anello. In tristezza dobbiamo lasciarci, ma non nella disperazione.
Guarda! Non siamo vincolati per sempre a ciò che si trova entro i confini del mondo, e al di là di essi vi è più dei ricordi. Addio!”.
Parma, 14 novembre 2019 memoria di San Lorenzo O’Toole Arcivescovo di Dublino, dei Santi Nicola Tavelic, Stefano da Cuneo, Deodato Aribert da Ruticinio e Pietro da Narbona Sacerdoti francescani, martiri e di Santo Stefano Teodoro (Etienne-Théodore) Cuénot Vescovo e martire