Amo molto Ungaretti, mi piace il suo modo di scrivere poesie, senza orpelli, l’uso di parole che mi rimandano alle sculture di Giacometti, scavate, svuotate di ogni fronzolo.
Usa le parole come strumenti da lui stessi forgiati (“Quando trovo / in questo mio silenzio / una parola / scavata è nella mia vita / come un abisso”), come un artigiano gli attrezzi del proprio lavoro, lo definirei un fondatore della lingua, come Mosè ha fondato un popolo.
Nella mia ricerca nel grande mare del Dio Google, stasera, ho trovato un’altra poesia (che iperbole in questo caso) che mi è piaciuta e che faccio mia; non vi è paragone possibile con Ungaretti (nè credo l’autore avesse intenzione di porne, di impossibili paralleli), tuttavia a suo modo mi è piaciuta e mi permetto di ricopiarla:
“Sul davanzale
succulente e cactacee
assorbono i primi raggi.
Feriti dalla luce,
mi si aprono gli occhi.
Un nuovo giorno potrà essere
inizio possibile o vuota ripetizione
Non c’è destino
nè storia
lavoro senza sudore
perchè scorrano latte e miele.
Uomo nuovo posso nascere
dopo il sogno notturno
ad ogni alba.”
Sono molto attratto dal pensiero della terra in cui scorrono latte e miele, come segno di un lavoro efficace, produttivo, concludente, senza ripetizione compulsiva.
Un ringraziamento ai miei carissimi Umberto, Grazia, Marta e Roberta (e la WonderDanielina no?) che, pur nella distanza, tentano di starmi vicino, sono grato a ciascuno di loro che, nel tempo, hanno lavorato con me e per me perchè spuntassero e sbocciassero fiori nel deserto.
Modena, 10 maggio 2011