Non ci avevo mai pensato fino a domenica scorsa quando Don Pier Alberto Sancisi (Don Piero famigliarmente), col quale ho avuto l’onore di cenare, mi ha fatto notare che Gesù, una volta risorto, non perde tempo e non spende nemmeno un accento per criticare o dir male dei suoi aguzzini; non ha bisogno di dimostrare in maniera plateale che lui è Dio.
In questi giorni, sto leggendo i vangeli apocrifi ed in molti di questi brani, al contrario, emerge la figura di un Gesù bambino, molto suscettibile (eufemismo), che per un nonnulla fulmina compagni che commettono più o meno qualche sgarbo nei suoi riguardi, salvo poi eventualmente, risuscitarli; insomma un Dio bambino che agisce da Dio.
Da Dio, appunto; niente di tutto questo nei vangeli canonici, con un Gesù non rancoroso e vendicativo e che non perde tempo a fare miracoli cretini solo per esibizionismo, seppur divino.
A proposito poi di pedofilia, oltre a capirne bene i confini, debbo a Giacomo Contri l’idea che è un feticcio e come tale contro il rapporto e contro il lavoro per statuire rapporti (sempre sessuati anche se non sempre sessuali): non lavoro di due persone ciascuna competente per quanto riguarda il discorso della conclusione dei moti del proprio corpo ma un discorso educativo, pedagogico, dell’adulto che si prende cura del bambino fino a doverlo riempire, colmare di affetto, educazione…
Mi rammentava Don Piero che a proposito di chi scandalizza i piccoli, nel Vangelo è formulato un certo giudizio non molto evangelico: “Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da un asino e fosse gettato negli abissi del mare”.
La perversione è la chiusura totale all’altro, volutamente negato nella sua realtà giuridica ed economica di altro di un rapporto possibile di guadagno, è militanza armata contro, lo direi il peccato contro lo Spirito Santo, tale per cui chi abbia seriamente imboccato quella strada si può ben definire un morto vivente.
La conclusione è fin troppo facile: meglio una macina al collo ovvero non ci sia ingenuità nel pensare che chi è pedofilo possa redimersi, esso deve essere posto nella condizione di non nuocere. Sempre Don Piero mi faceva notare come la triplice domanda di Gesù a Pietro (mi ami tu più di costoro?) e la sua costituzione come pontefice che da qui si fa discendere altro non rappresenti che il costituire una garanzia che almeno uno tenga, sappia tenere riguardo all’eredità di Gesù stesso (lo Spirito Santo).
Attaccato e vilipeso, debole, in crisi di popolarità (ci sarebbero molti meno pellegrini a Roma da quando è diventato Papa), retrogrado e via accusando; in questa grottesca sequela di insulti vari mi pare di poter scoprire un lato positivo: la debolezza del Papa, che non è il CAPO della cristianità, la sua impopolarità e questo proprio perché nella difficoltà emerge più viva che mai la domanda “Signore, da chi andremo?” Non ci sarebbero più masse in Piazza San Pietro? Ma non erano le folle a gridare “Osanna al figlio di Davide” e, pochissimo tempo, dopo “crucifiggilo”? Cristo di preoccupava della folla?
Per quanto vergognose e dolorose possano essere le scoperte di questi giorni esse aiutano a ricordare che la Chiesa non è l’agenzia morale dell’umanità o il luogo della coerenza, al contrario essa nasce dal ricevere da altri una salvezza che da solo l’uomo non è capace di darsi; essa ha avuto come primo pontefice un traditore e, nei secoli, degli arrivisti, libertini, corrotti, così come santi e martiri e, tuttavia non è questo che importa, ma che siano stati custodi dell’eredità ricevuta.
Il resto è moralismo; la risposta alla vocazione è personale, sempre e soltanto personale e non può mai derivare da un ruolo, per quanto pubblico possa essere: guai al papa che si comportasse da papa, ne risulterebbero figure come quelle ben rappresentate dagli splendidi dipinti del mio amatissimo Bacon (studi sul ritratto di Innocenzo X).
Non è un ruolo da impersonare ma un privilegio di cui approfittare.
Pietro è la garanzia che il pensiero di Gesù permarrà tra gli uomini (Chiesa come societas di coloro che approfittano del suddetto pensiero) e l’attacco al Papa, a prescindere dai suoi meriti personali, dalle sue debolezze o dalle sue capacità di essere testimone, in fondo, è l’attacco a Gesù ovvero, come già una volta, l’attacco al Padre, proprio come hanno fatto i vignaiuoli omicidi della parabola e come hanno fatto i preti (laici o religiosi qui poco importa) di quella volta con Gesù.
Il pensiero del padre è ciò che è da eliminare, un pensiero pacifico, sovrano (dare i nomi alle cose, cioè dar loro un senso), efficace e praticabile da chiunque (non servono gli specialisti).
Pro Pontifice Benedicto