Ebbene mi sono preso una pausa, una di quelle che mi permettono una ripresa più agevole anche se hanno l’indubbio effetto collaterale di farmi avvertire un maggiore senso di dolore e vergogna nel vedere com’è messo male questo paese, ma bando alle ciance, Valencia mi aspetta.
Il tempo è grigio, sembra quasi voglia iniziare a piovere, ma fortunatamente, cadono solo un paio di gocce, sporadiche; non fa freddo, ma come primo giorno il tempo è poco incoraggiante.
Ho commesso, fra i vari che mi hanno accompagnato durante questo viaggio, l’errore di acquistare il biglietto di trasporto dall’aeroporto alla città tramite il sito della Ryanair; avevo dimenticato che a Valencia un’ottima metropolitana porta in centro città in breve tempo.
Prendo dunque l’autobus che intercetto un po’ fortunosamente; questo mi permette di vedere i paesini e la periferia di Valencia, che come tutte le periferie si rivela di nessun interesse ed abbastanza squallida, non peggio, tuttavia, di tante altre.
Prima dell’albergo (visto che ignoravo dove fosse Calle Moratin), mi dirigo all’ufficio turistico di Plaza del Ayuntamento, dove un baldo giovanotto mi fornisce un’ottima e indispensabile pianta della città che ho utilizzato fino allo sfinimento (sia mio che della piantina); il giovanotto, gentile e simpatico, tuttavia parla a raffica mettendo subito a dura prova la mia comprensione.
Arrivo poi nel mio albergo, a due passi dalla piazza: economico, non posso lamentarmi, anzi, però anche questa scelta è frutto di un errore di cui mi sono reso conto solo all’arrivo (per mia trascuratezza): avendo letto nella presentazione che la camera aveva la doccia, non ho pensato che potesse avere, invece, il bagno in comune, cosa che mai me lo avrebbe fatto prenotare. Devo dire che è andata bene, forse per i pochi clienti (almeno credo, non ne ho visto mezzo), forse per gli orari, non esattamente da vacanziero gaudente, non ho avuto problemi di sorta; tutto era pulito e tranquillo.
In città mi ritrovo subito bene, a mio agio, anche se parlo incespicando spesso: come sempre pretendo troppo e vorrei usare un linguaggio corretto, fluente ed elaborato, cosa impensabile visti i miei livelli.
Sarà che qui il sole tramonta più tardi, oppure la mia particolare bendisposizione verso la Spagna, fatto si è che mi trovo a mio agio, mi muovo tranquillamente in una città che trovo pulita, ordinata e tranquilla.
Grande innovazione rispetto a tutti i viaggi precedenti: per la prima volta non sono andato mai a mangiare nei vari McDonald o Burger king, ma solo in locali che richiedevano un, seppur minimo, dialogo col cameriere; inizio così a pranzo in Plaza de la Reina, dove mi mangio la prima paella, in un ristorante che si chiama “Moltto”, con spesa modica e buona soddisfazione.
La prima meta è la Cattedrale che ritrovo bella come allora; a dire il vero un po’ troppo spoglia per i miei gusti però austera e solenne come si conviene ad una chiesa di tale importanza.
Mi riprendo, come tre anni fa, l’audioguida in spagnolo, che mi gusto dall’inizio alla fine, comprendendo tutto quel che dice.
Belli i due quadri di Goya, di cui mi ha impressionato quello in cui San Francisco de Borja (san Francesco Borgia, terzo generale dei gesuiti) assiste un morente, non esattamente in buona disposizione, con vari demoni che sembrano torturarne l’agonia: dipinto decisamente angoscioso.
Interessante anche la storia di questo santo che ha stabilito, come data di conversione (anche se in realtà ha sempre avuto uno spirito molto religioso), quella corrispondente al giorno della morte dell’imperatrice Isabella di Portogallo, donna bellissima, morta precocemente all’età di 36 anni.
Il santo fu incaricato del trasporto della salma da Toledo, ov’era defunta l’imperatrice, a Granada, dov’era prevista la sepoltura; quivi giunto, gli fu richiesto di certificare che la salma era effettivamente quella dell’imperatrice, cosa che richiese l’apertura della cassa.
In questa occasione san Francisco de Borja, ha pronunciato la famosa frase: “No puedo jurar que esta sea la emperatriz, pero sí juro que es su cadáver el que aquí ponemos” (non posso giurare che questa sia l’imperatrice, però giuro che quello che qui seppelliamo è il suo cadavere), ovvero “He traído el cuerpo de nuestra Señora en rigurosa custodia desde Toledo a Granada, pero jurar que es ella misma, cuya belleza tanto me admiraba, no me atrevo. […] Sí, lo juro (reconocerla), pero juro también no más servir a señor que se me pueda morir” (Ho accompagnato il corpo dell’imperatrice in rigorosa custodia da Toledo a Granada, però non mi azzardo a giurare che è lei stessa … Sì giuro di riconoscerla, ma giuro inoltre di non servire mai più a un signore che possa morire).
Molto belli anche gli angeli rinascimentali ben restaurati che mi ricordano Melozzo da Forlì e Guido Cagnacci (ne La gloria di San Mercuriale).
Infine la Cappella del Graal; inutile dire che è molto bella e suggestiva; quello che mi interessa è il calice, sicuramente un bel calice, ma niente di che.
Non voglio sminuire quello che potrebbe essere il cosiddetto sacro Graal (l’altro analogo pretendente al titolo è conservato a Genova), tutt’altro: sia quel che sia, questo è un bel calice, antico ed il fatto che potrebbe essere stato utilizzato da Gesù per l’ultima cena lo renderebbe soltanto una reliquia da custodire con la dovuta attenzione. Nulla a che fare con quei quintali di spazzatura che circolano in merito ai presunti misteri e ai poteri magici che lo accompagnerebbero. Gesù non era un mago, non ci teneva ad esserlo e non si vede perché mai dovrebbe avere trasmesso detti eventuali poteri ad un oggetto.
Lasciata la cattedrale mi dirigo verso il palazzo che, non mi vergogno a dirlo, mi piacerebbe avere come residenza: il Palacio del Marqués de Dos Aguas. ne ero rimasto incantato la volta scorsa e la stessa sensazione mi ha fatto questa: un’opera straordinaria.
A differenza del passato vado a visitare anche l’interno, sede del Museo Nacional de Ceramica y Artes Suntuarias: bello, con le carrozze ben conservate, purtroppo non aveva il secondo piano accessibile; l’esterno rimane insuperato e imparagonabile all’interno.
In questa occasione, volendo provare a scattare una foto un po’ particolare, riesco invece a cancellare la memoria della scheda in modo da perdere quasi 300 foto: il mio fegato ha avuto un sussulto, il mio stomaco ha concordato col fegato e la pressione mi è salita ad un buon livello… c’ho messo un po’ prima di riprendermi dall’ira funesta.
Si approssima la sera ed io mi decido di andare a visitare le due porte della città sopravvissute, quella del Quart e quella, ben più monumentale, di Serranos, incontrando sul percorso anche il Mercato Centrale, sempre bello da vedere.
Per la cena decido di andare in un locale segnalato dal sito del sole24ore: il ristorante “Na Jordana”: all’interno del locale non c’era un perro (dog o cane che dir si voglia), solo la famiglia dei gestori, intenta a cenare; chiedo una paella, giusto perché a Valencia cosa mangereste? e poi il riso a me piace tanto.
La cosa buffa è che a fine cena dico al titolare (che si stava mangiando un panino o qualcosa di simile) di avere letto una buona recensione del locale su internet, nel sito di un giornale italiano e lui, guardandomi stranito, mi ha chiesto: “questo?”, evidentemente non è a conoscenza delle recensione…
Compro una copia di El Mundo e me ne torno in albergo.
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