Sembra che in questi ultimi tempi stia rivivendo e percorrendo il mondo occidentale un vento freddo di odio verso gli ebrei.
Ultimo episodio è quello di Amsterdam di pochi giorni fa, in occasione di una partita di calcio.
Ne sono seguiti, in Italia, cortei denominati pro-pal, scritte sui muri o cassonetti e simili, in giro per le città, inneggianti alla Palestina libera; la classe politica non si è sempre dimostrata all’altezza ma questo già importa meno.
Quello che ho trovato, invece, molto interessante, è il pensiero di Giovanni Cominelli, solitario pensatore che ha proposto un’analisi condivisibile ed interessante, pubblicata sul consueto sant’Alessandro di Bergamo.
Cominelli sostiene che l’antisemitismo come l’abbiamo conosciuto nel tremendo secolo appena trascorso, aveva origini storiche remote e culturalmente anche elevate: “Essenza dell’antisemitismo di ogni tempo è sempre stata l’accusa mossa agli Ebrei di essere estranei alla civiltà cristiana prima e poi a quella che oggi chiamiamo civiltà occidentale. “L’Ebreo errante” è uno che non ha patria, perché non ne ha diritto né a Occidente né a Oriente. Alla costruzione di questo mito negativo hanno portato il proprio mattone lungo i secoli i Papi, i vescovi, Lutero, Hume, Voltaire, Kant, Fichte, Marx, Heidegger…, solo per citare alcuni”.
Illustri pensatori, dunque, hanno elaborato la figura dell’ebreo come “diverso”, estraneo alla cultura dominante al momento.
Un discorso a parte meriterebbe la scelta nazista ma, lasciamo stare, per il momento.
Venendo, invece, ad oggi, ecco il pensiero di Cominelli: “Il loro antisemitismo/antisionismo/anti-israelismo respinge l’Ebreo che abiti in Israele e che sia comunque collegato a Israele, non perché estraneo all’Occidente, ma, al contrario, perché rappresenta e condensa i valori dell’Occidente. Quale Occidente? La piattaforma comune, che tiene insieme giovani immigrati, sinistra radicale autoctona – che a Milano ha applaudito gli “eroi di Amsterdam” che hanno dato la caccia all’Ebreo – persino femministe e LGBTQ+ é l’idea che lo Stato di Israele sia l’avanguardia in Medioriente del colonialismo, del capitalismo imperialista, del razzismo, dell’apartheid”.
Continua l’analisi: “Così, avanguardia della lotta anti-imperialista, anticapitalista, antirazzista, antifascista è sempre meno la sinistra movimentista e radical-woke dei Paesi occidentali, ma sono sempre più i giovani immigrati delle periferie urbane delle città europee, che per un verso usufruiscono di tutte le commodities istituzionali – le libertà – e sociali delle democrazie europee, ma per l’altro respingono la tavola dei valori che le fondano, a partire dalla dignità della persona-donna, a partire dal primato della legge dello Stato rispetto alla legge della sharia, a partire dall’universalismo dei diritti e dei doveri”.
Tralascio le ulteriori considerazioni su accoglienza e integrazione per sottolineare che, ancora una volta, il vero nemico, che sembra accomunare una pluralità di realtà tra loro anche talmente disomogenee da essere incompatibili, è l’occidente.
Ma quale occidente? quello dei valori giudeo cristiani? Troppo “stinti” ormai, ma hanno lasciato dei frutti che, pur dimenticando le origini, hanno attecchito e fruttificato lontano dalla pianta madre (anzi dalla pianta padre): la libertà di pensiero, la democrazia, l’iniziativa economica e via elencando.
Quell’occidente si ostina a divorarsi le interiora, avvoltolandosi nelle polemiche sul patriarcato o irridendo Dio (figura del padre).
Tornando all’odio per l’occidente, viene il dubbio che l’origine sia rinvenibile nell’idea di libertà, giuridicamente strutturata.
La libertà è fondata, garantita, dal diritto, quello statale, dal quale non si può prescindere e tuttavia la riduzione del concetto di libertà al solo diritto statale la espone ad un’inconcludenza che è la ferita infettabile dalla perversione.
Lavoro iniziato da Sigmund Freud, portato a fruttificazione da Giacomo Contri.
Freud è appartenente al popolo ebraico, popolo dell’alleanza (ancora il diritto) e della predilezione del Padre, rapporto fondativo di una civiltà che l’occidente ha cominciato a smantellare e rinnegare dagli anni Sessanta del secolo scorso ma che è irrinunciabile, come il lavoro di pensiero.
Da notare, ancora, che come giustamente ricorda Cominelli, la figura dell’ebreo errante rimanda all’essere senza patria; senza patria è stato Freud: “Ho trovato la più amichevole accoglienza nella bella, libera, magnanima Inghilterra. Qui vivo ora ma come ospite ben accetto, traendo un sospiro di sollievo perché mi è stato tolto di dosso quel peso e perché posso nuovamente parlare e scrivere – quasi dicevo pensare – come voglio e devo” (S. Freud, L’uomo Mosè e la religione monoteistica. Terzo saggio, OSF, vol. 11, p. 381).
E senza patria è la psicoanalisi, lavoro istitutivo di civiltà, il cui populismo è la psicologia di massa, oggi più che mai trionfante.
L’odio e rinnegamento del padre (e del lavoro giuridico e fondativo di civiltà conseguente) di sessantottina memoria è stato il connotato di continuità di tanta sinistra politica e culturale e fatto proprio da tutti coloro che ne continuano, nelle proteiformi versioni di contestazione, l’opera (ancora la psicologia di massa).
Una pessima eredità (sempre concetto giuridico); anche il diritto statuale ha ben presente che non tutto ciò che si riceve va accettato, ed infatti ha creato l’istituto giuridico dell’accettazione con beneficio di inventario, lasciando la facoltà di valutare ed accettare o rinunciare; lo diceva in altre forme san Paolo di Tarso: “omnia probate, quod bonum est tenete”.
Parma, 22 novembre 2024, memoria di santa Cecilia vergine e martire