Come molti sanno, sono stato alunno del liceo scientifico Giacomo Ulivi, in quel di Parma, in quella strampalata sezione che era la B.
Non erano tempi buoni, per la scuola italiana, ricordo ancora con orrore le autogestioni (cui presero parte illustri docenti “cattocomunisti”), in cui l’ideologia faceva a gara con l’inutilità, e gli scioperi, anche questi del tutto inutili, se non per permettere qualche partita a biliardo.
Gli insegnanti che ho avuto sono stati per la gran parte mediocri, salvo qualche lodevole eccezione; qualcuna è stata non mediocre ma qualcosa di molto peggio e, se la ragione oggi non mi assistesse, vorrei che fosse a marcire nel più profondo dell’inferno (e non mi riferisco alla professoressa d’inglese, matta da manicomio conclamata).
A parte questa malefica professoressa di matematica (del biennio), dicevo, gli insegnanti sono stati mediocri, né al biennio è andata meglio.
Il primo giorno, nella nuova sede (per noi) di via Benassi, incontrammo questo strano professore di italiano che ci disse di compilare una strana scheda personale in cui avremmo dovuto indicare gusti e preferenze che non so meglio precisare; il passo successivo fu scrivere sulla lavagna la sibillina frase “Aquilae non captant muscas”: ci disse che quello era un tema da svolgere in classe ed eventualmente terminarlo a casa; dopo quella sintetica spiegazione scomparve fino al giorno successivo.
Molti suoi atteggiamenti oggi sarebbero inammissibili (dare dello stupido – rigorosamente in dialetto – o mollare scappellotti) e questo depone a suo favore, altri discutibili come il portarci in aula di fisica per provare i canti per la gita: i puristi attuali lo taccerebbero di sessismo e in effetti “Le ragazze di Monticelli hanno le gabbie , non hanno gli uccelli, mentre quelle di Legnaia, ne hanno a centinaia” non è proprio politicamente corretta come dichiarazione.
Ricordo lo choc che provai nel vedere 5 in pagella, nello scritto, ma capii ben presto che era necessario lavorare sulla sintesi (al contrario degli anni precedenti) e recuperai immediatamente.
Che dire delle poesie imparate a memoria? dalla Ballatetta (Perch’io no spero di tornar giammai) di Guido Cavalcanti, a “Erano i capi d’oro a l’aura sparsi” di Petrarca a Catullo “Vivamus mea Lesbia, atque amemus”, ma il suo capolavoro furono i versi di Dante: l’episodio del Conte Ugolino e l’invettiva all’Italia di Sordello da Goito.
Così ricordo gli appunti che dettava sullo “Sturm und Drang”.
Sapeva a memoria la Divina Commedia e non solo.
Andava dal dentista dove si faceva curare i denti senza anestesia (cosa folle per noi pusillanimi alunni) ed era un inguaribile romantico che oggi definiremmo “sfigato” (mala tempora currunt).
Ho amato studiare con lui, mi sono alimentato di quell’atmosfera romantico decadente che faceva trasparire da ogni racconto (il regalo di un papavero per il compleanno di un’amica, fatto arrivare in aereo dall’Argentina, essendo il nostro emisfero in inverno); non è sua responsabilità, ma ha alimentato i miei demoni, ma ha sostenuto il mio amore per la letteratura.
Curiosamente, è solo un caso, non credo alle coincidenze, è venuto a mancare proprio nei giorni in cui mi sono messo a rileggere la Divina Commedia e mai avrei pensato di dedicare la era del 22 giugno al rosario in sua memoria.
Mi ha fatto piacere, così come il poter partecipare alle sue esequie e scoprire che andava a Messa (e che, giustamente, criticava le omelie del parroco, quello che ha confessato di avergli consigliato come primo libro della Bibbia da leggere, quello di Giobbe), non ricordavo che fosse cristiano, che si sia convertito è una buona notizia.
Ho saputo anche che si era sposato, anche di questo mi sono compiaciuto, era persona che meritava di avere accanto qualcuno che gli volesse bene in modo speciale: alla vedova vanno le mie condoglianze più sentite (che non le ho porto di persona per via dell’innata timidezza).
Debbo ringraziare il buon Guido Menozzi, che da tempo conto di poter salutare di persona, per avermi comunicato la triste notizia, permettendomi di presenziare al sacro rito.
Con questo decesso per me siamo quasi alla fine un’epoca, che è bene che finisca in archivio.
Parma, 23 giugno 2021, memoria di san Giuseppe Cafasso