Sempre a Roma, ennesima tappa del mio peregrinare: il Museo Pietro Canonica.
Situato ne “La Fortezzuola”, all’interno dei giardini di Villa Borghese, residenza che l’artista ricevette dal Comune di Roma, che restaurò e riadattò ai propri gusti e dove visse e lavorò fino alla fine dei suoi giorni, nel 1959.
Il museo custodisce una gran parte delle opere di Pietro Canonica, molte in forma di bozzetti di opere monumentali, sparse in giro per il mondo ed in alcuni casi distrutte a seguito di rivolgimenti politici che hanno determinato la caduta dei committenti (ad esempio: gli zar di Russia).
Molto abile nella ritrattistica, ha vissuto il primo periodo della vita artistica come esecutore di splendide rappresentazioni dell’alta aristocrazia europea, spaziando dall’Inghilterra della Regina Vittoria, alla Russia di zar e granduchi.
Con la fine della Grande Guerra e il crollo di quel mondo, Pietro Canonica si è dedicato a monumenti funebri o a committenze pubbliche, sparse veramente in mezzo mondo, a testimonianza del gradimento ricevuto.
Le opere esposte sono tante, ma alcune mi piace segnalarle a partire da “Le comunicande“, dove due giovinette si accingono a ricevere l’Eucarestia.
Donna Franca Florio è un’altra opera tanto pregevole quanto da notare perché la splendida donna ritratta è la stessa protagonista di un quadro di Giovanni Boldini, una delle sue opere più note: Donna Franca Florio è stata una protagonista di prima grandezza nella vita economica, sociale e culturale della Sicilia tra fine Ottocento ed inizi Novecento.
Quella Sicilia che fu al centro dell’attenzione internazionale, con visite di magnati e regnanti (la stessa Donna Franca era amica del kaiser Guglielmo II) come mai più nei decenni successivi fino ad oggi.
Un altro ritratto, la “Principessa Emily Doria Pamphilj“, donna molto bella, di origine inglese ma molto amata a Roma dove si era trasferita in seguito alle nozze col principe Alfonso Doria Pamphilj Landi.
Elena d’Orleans duchessa d’Aosta, altra storia, altro ritratto, per la sfortunata moglie del duca Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta; donna bellissima che ha visto premorirle entrambi i figli.
Il Museo ospita anche il Monumento a Nicola Nicolajevich, destinato a piazza Manejnaja di S. Pietroburgo, distrutto nel 1917.
Altra opera molto bella è il ritratto di “Alessio Romanoff di Russia“, sfortunato ultimo zarevic di Russia, ucciso, come tutta la famiglia imperiale, a Ekaterinburg, all’età di 14 anni: è stato canonizzato come martire dalla Chiesa ortodossa russa nel 2000.
Tra le opere custodite nel Museo Pietro Canonica, ma non dell’autore, ce ne sono due alquanto curiose: “Lo Studio di mani e di piedi” di Enrico Gamba, una serie di mani e piedi, evidentemente utilizzati come prova per un altro dipinto e “Le Lavandaie di Torino” di Demetrio Cosola, anche questo una sorta di catalogo di figure femminili, lavandaie.
Ma torniamo alle opere di Pietro Canonica: Lyda Borelli, diva del cinema muto, la Contessa Arline Meade Labia, due tra le tante donne e uomini di rilievo, all’epoca, che il maestro ha immortalato con grande eleganza.
Splendida l’opera intitolata “L’Abisso”, due giovani abbracciati, ma veniamo al tema che mi è più confacente: la statua di San Giovanni Bosco, San Domenico Savio e il venerabile giovane patagone Zeffirino Namuncurà, figlio del Gran Cacico e, soprattutto, il monumento funebre a Benedetto XV, papa tristemente famoso per gli inascoltati appelli alla pace e la definizione della guerra come “inutile strage”.
Curiosa la storia della statua di Don Bosco perché il santo, in uno dei suoi famosi (e invidiati) sogni si trovò proprio in una nicchia della basilica vaticana, da cui non riusciva a scendere; angosciato, si svegliò: tempo dopo fu proprio la sua statua ad occupare quella nicchia.
Spero di avervi fatto venire voglia di fare un salto in questo piccolo e gradevole museo romano che, per concludere, mi ha visto protagonista di un surreale dialogo con l’addetta all’ingresso.
La buona donna, avendo voglia di scambiare alcune battute, ignorando la mia professione, si è lasciata andare ad alcune affermazioni definibili come “infelici”; io che a Roma sono di buonumore di default, non me la sono presa ed anzi, divertito, le ho svelato che anch’io facevo parte di quella categoria: mal me ne incolse perché la poveretta mi ha ripetuto le scuse non so quante volte, ad ogni passaggio che risultasse visibile dalla sua postazione ed infine nei pressi dell’uscita, nonostante l’avessi rassicurata che non mi aveva offeso per nulla (né aveva offeso nessuno, in realtà).
Roma, 16 ottobre 2020 memoria di San Longino e di San Gerardo Maiella