Mi trovo in un ampio cortile, forse quello della mia scuola elementare; ci sono vari colleghi, provenienti da diverse città, arriva un’auto, guidata da una donna e tutti, subito, di corsa iniziano a darsi alla fuga per evitarla perché è una collega di una pesantezza spropositata.
Giriamo, in auto, attorno all’edificio e, sul retro, probabilmente scorgiamo la collega con altri due per cui rifletto sul come fare a liberarli, a trovare una scusa per farli scappare.
Cambia la scena e, in un albergo (forse, o a casa mia), apro una porta: nella stanza c’è sicuramente Micaela T., una collega di Modena alla quale dico: “mi spiace che siate venuti qui un giorno e becchiate pure un temporale”, credo che lei mi risponda: “pazienza”.
C’è, forse, una sfilata in centro, credo in una città umbra o toscana (ma non saprei), in costume; mi incammino in senso contrario ed incontro non saprei chi, ma è un ragazzo (collega?) piccoletto, che indossa un mantello.
Qualcuno commenta la scena, il ragazzo forse ci mostra il mantello ed io: “il mantello è un capo molto bello (?) elegante (?), qualcuno mi dice qualcosa che non ricordo cui io ribatto: “ma io non voglio mai essere uguale agli altri”.
In un angolo, forse all’interno di un locale, ci sono tre uomini, stretti stretti, due in piedi, il terzo sembra che si sia piegato lateralmente su un fianco (come se fosse un ballerino), di questo non riesco a ricordare l’identità, mentre degli altri due sono certo, uno, quello che sta contro la parete è Marco B., un collega parmigiano, l’altro Giancarlo A., un compagno di scuola delle elementari, i due si stanno baciando appassionatamente mentre io noto, curiosamente, che è in evidenza, scoperto, un capezzolo di Giancarlo (credo).
Parma, nella notte tra 11 e 12 maggio 2020