“Qui comincia l’avventura del Signor Bonaventura” è una delle varianti dell’incipit di un famoso fumetto risalente al secolo scorso, pubblicato dal 1917 al 1978, una bella longevità!
Come mi sia tornato in mente è presto detto, grazie ad un frammento di sogno che ricordo solo come molto articolato; il frammento è il seguente:
sono davanti a casa, fermo l’auto davanti al passo carraio e mi sposto dietro il veicolo per parlare con qualcuno, in giardino, che intravedo con difficoltà a causa del melograno, ma che è probabilmente mia mamma. Mi giro, quindi, verso l’auto e la vedo allontanarsi; esclamo una frase del tipo “mi hanno rubato l’auto!” Forse azzardo nei confronti di mia madre una scusa o una “chiamata in correità” giustificando la mia disattenzione come dovuta alla sua chiamata.
Questo quanto ricordo, ma l’auto in sosta mi ha rammentato un’altra auto, anch’essa in sosta ma poco più avanti, se la memoria non mi inganna, a fianco dell’abitazione dei vicini: l’auto di mio padre in occasione del mio famosissimo “rapimento”, così l’ho ribattezzato con quella vena melodrammatica che è uno dei miei connotati peculiari.
A bordo di quell’auto, una certa sera, era domenica, credo attorno alle 21.00, avrei dovuto ritornare a casa di mio padre; nei pressi di quell’auto venne discussa anche una possibile riconciliazione dei miei (per il bene dei figli, lo ricordo perfettamente, dicevano e confesso che ai tempi credo l’avrei apprezzato ma a ripensarci oggi … mi vengono i brividi) che ebbe esito negativo.
Di fronte all’eventualità di andare con mio padre presi una decisione irrevocabile e impegnativa per tutti: mi chiusi in bagno e minacciai il suicidio, minacciai di buttarmi dalla finestra, cosa abbastanza risibile vista l’altezza e il mio proverbiale coraggio da cerbiatto.
In ogni caso mi posi come supremo tribunale ed emisi una sentenza che creò un prima ed un poi: passarono direi almeno 20 anni prima di rivedere mio padre.
Ripensando alla scena mi ritrovo molto eroe tragico, shakespeariano, chiuso nel bagno con la finestra aperta, minacciando il gesto estremo; se la guardo dall’esterno mi sembra una scena degna del teatro dell’assurdo, del miglior Beckett, uno sguardo all’interno di una squallida borghesuccia abitazione ove si consumano tremendi conflitti da cui conseguono soltanto solitudini e dolore.
Resta comunque un fatto storico, che a quella singolar tenzone tra genitori … lo sventurato rispose: su quelle basi una civiltà ho edificato, altre sarebbero state possibili.
Tornando a bomba sul Signor Bonaventura, il plot della striscia è rimasto immutato per anni: il racconto in distici di ottonari, cioè rigorosamente in rima, delle disavventure inizia, solitamente, con una sventura del protagonista seguita da un beneficio di qualcun altro che ricompensa alla fine il Signor Bonaventura col fatidico “1 milione”.
Potrebbe dirsi che tutti i salmi finiscono in gloria se non ci fosse un inghippo: in tutte le avventure o disavventure del Signor Bonaventura manca, e brilla per l’assenza, l’idea dell’appuntamento; viene mantenuta l’idea dell’altro ma è un altro che si arricchisce o comunque riceve beneficio grazie alla disavventura del protagonista, in modo quasi automatico e casuale, salvo sdebitarsi col milione di prammatica.
Siamo nel regime della mano invisibile di Adam Smith: c’è un meccanismo che conduce ad un buon fine a prescindere, come direbbe Totò.
Non ci si può arricchire se non passando attraverso la disavventura o sventura e confidare nella sua riconoscenza.
In questo qualcosa di buono ci trovo perché una ricompensa come quella attribuita al Signor Bonaventura è sicuramente spropositata come a dire che trovare un buon partner equivale a trovare un tesoro: la ricompensa non è risarcitoria, una parte di quel che si è rinvenuto, ad esempio, ma sempre ben più di quanto sia in gioco, proprio per sottolineare che l’altro diventa ricco, cioè il rapporto è produttivo, ci si guadagna.
L’altro del Signor Bonaventura è presente ma flebilmente proprio come nel mio caso, che sarà una casualità ma sono alto come il personaggio; il pensiero dell’altro come conveniente seppur presente è esile, debile, continuamente a rischio (per questo confido nel purgatorio).
Lo sperimento costantemente.
Parma, 18 luglio 2019 memoria di san Federico