Proprio di stanotte un curiosissimo sogno (sempre che si possano definire curiosi i sogni):
Sono in camera con uomo che si sente stanco e decide di mettersi a letto e dormire; io penso che essendo, non so se in vacanza, a Vienna o all’estero, non ha senso restare chiuso in camera.
Mi trovo all’aperto; dall’alto di una collinetta vedo due persone che stanno lavorando, sono M. e L. R. (ragazzi coi quali ho trascorso la giovinezza, con uno anche 8 anni di scuola); forse mi avvicino e parlo con loro.
Ora sono sdraiato sul prato e sto parlando; davanti a me c’è una grande chiazza scura ed alcune più piccole: le tocco e scopro che è letame di mucca; mi pulisco continuando a parlare quindi mi giro e scopro che non c’è più lo psicoanalista a sentire per cui penso di avere parlato a vuoto.
A questo punto lo psicoanalista si avvicina ed il vento gli sbatte in faccia; non so se io o lui pronunciamo la seguente frase: “c’è brutto tempo, meglio rientrare”.
Sto scendendo da una collinetta dove c’è una sorta di scivolo; a sinistra, circa a metà, c’è un anziano con una bambina piccola; mentre scendo le rivolgo una frase del tipo “sei piccola”, e pure il nonno le dice: “sei piccola, stai attenta che lui è grosso e può farti male” (o qualcosa di simile).
Ora sono in un centro commerciale dove c’è una grandissima ressa; qui incontro l’amico Fabio M. di Rimini, al quale spiego che devo comprare il pane per lo psicoanalista mentre lui mi spiega che sua moglie è andata a Vienna (e forse che c’è una cattiva notizia).
Ho il pane, sardo, sottilissimo, e qualcos’altro, (un panettone?): devo portarlo allo psicoanalista ma ignoro dove abbia l’ufficio; forse affido a Fabio una delle due borse e decidiamo di separarci alla ricerca dell’ufficio anche se rifletto che non ha molto senso poiché non ho idea di dove si trovi.
Ci ritroviamo io e Fabio e c’è un uomo anziano che ha preso o staccato un pezzo del pane (o del panettone); lo guardo malissimo e penso (o gli dico) che è un maleducato ma forse Fabio lo difende dicendo che l’uomo ha a che fare con lo psicoanalista.
Adesso mi trovo tra la folla con Fabio e sua moglie S.; Fabio mi rivela che lei ha un problema ed io capisco che ha un tumore e, commosso, commento: “moriremo tutti per quello o per problemi cardiovascolari”.
Mi ritrovo nuovamente nella calca, ma in movimento, e chiedo a S. se le è piaciuta Vienna; lei risponde positivamente, quindi le domando del kunsthistorisches e lei risponde: “cos’è?” Al che penso che sia vergognosamente ignorante.
Mi racconta di avere visitato il Belvedere mentre notiamo, alla nostra destra, una strana figura in pietra che potrebbe essere una donna o una sfinge che provoca questo commento di S.: “non mi piace (o non mi è piaciuto) il culo rosso”.
S. si ferma per entrare in chiesa; c’è anche Fabio che credo mi informi che lei inizierà la chemioterapia, io commento che l’ho già passata 4 volte con mia mamma e che andrà bene; sono molto commosso.
Questo è il sogno; come ogni volta che riesco a ricordare un sogno (ed ho il tempo per farlo) provo a lavoraci sopra col sistema delle libere associazioni.
In questo caso mi sono tornati alla memoria alcuni episodi del passato ed in particolare lo scivolo, bello alto, e le fantastiche altalene che mi facevano tanto divertire le rare volte che andavo in parrocchia per il catechismo a San Benedetto.
Le mani nella cacca di mucca mi hanno ricordato vari modi di dire, tra i quali “essere colti con le mani nella marmellata” e “scambiare cacca con cioccolato”; a questo proposito mai ho messo le dita nel vasetto di marmellata mentre ricordo di averlo fatto con quelli di nutella. Quanto alla marmellata ricordo una vacanza, in tenda, a Cesenatico con i miei zii; a colazione o a merenda (questo non lo ricordo) mia zia ci dava una baguette con burro e marmellata di ciliegie o amarene: ad oggi se mangio marmellata la mia scelta è quasi esclusivamente indirizzata verso quel tipo, quindi ciliegie o amarene, al contrario sono decenni che non mangio più nutella né provo alcun desiderio di gustarla.
La cacca di mucca mi ha richiamato le mucche che vivevano nella stalla vicino a casa mia; ogni tanto andavamo a comprare il latte, ancora caldo, e la mattina successiva si notava, nella bottiglia di vetro, la panna affiorata; questa della bottiglia di latte (che consegnava a direttamente a casa il lattaio, a poche centinaia di metri da casa c’era il negozio, o meglio, la latteria) con la panna che affiora è un ricordo piacevolissimo.
Un altro curioso ricordo, di quelli che non pensavo di avere ancora in mente, riguarda sempre il latte, anzi la panna; non ricordo alcun antefatto ma durante le elementari mi è successo di produrre il burro, con la zangola o qualcosa di simile.
Se non ricordo male eravamo nel salone a sinistra, al piano terra della gloriosa scuola Violi; da quel salone si accedeva alle aule (una o due, non ricordo) e quello stesso ambiente era utilizzato per la ricreazione (che alle medie divenne intervallo); in quel grande locale successe anche un fatto “drammatico”: seduta su un tavolo, con le gambe a penzoloni, dolorante (almeno credo) per i postumi di una caduta (?) stava una compagna di scuola (della classe superiore alla mia di un anno); io feci il bel gesto di avvicinarmi per vedere cosa le fosse successo (una sbucciatura?) e mentre mi chinavo ricevetti in cambio della mia buona azione un calcio nei denti (in parmigiano una sbarada, che io dico invece sbarata); un dente si scheggiò e tale rimase (con mio imbarazzo, per decenni, fino a che l’ottimo Paolo, lo scorso anno, fece scomparire l’offesa).
La bruttezza dei miei denti mi ha perseguitato per anni, avendone provato sempre grande vergogna.
Quella bambina era, già allora “difficile” e tale si è mantenuta negli anni; è capitato di rivederla, occasionalmente, e di notare come sia decisamente peggiorata, soprattutto per quanto riguarda la trascuratezza, si è ridotta un’antidonna, una obiezione ambulante ad un possibile desiderio.
Pensando ai compagnia e alle compagne di classe mi è venuta in mente S., mia vicina di casa, con la quale non è mai nata un’amicizia nonostante ci fossero tantissime congiunture favorevoli; una fu esiziale, però, l’inimicizia tra le famiglie (fortunatamente cessata da anni, senza motivo così come senza motivi seri era nata), tanto da farmi pensare a Romeo e Giulietta. La rete metallica che ci separava permetteva, in realtà, ogni possibile contatto eppure era anche un bastione insormontabile; quella rete mi ha ricordato alcune foto del campo di concentramento di Auschwitz, suggerendomi l’idea di una separazione definitiva, di un addio senza speranze.
Un’ultima compagna, P., venne ad aumentare la minuscola classe, credo solo l’ultimo anno, la quinta elementare; questa bambina aveva una particolarità per noi allora straordinaria: mostrava le mutande facendo la ruota col grembiule. Una bambina che mostrasse le mutande teneva un comportamento a dir poco riprovevole (una persona che conosco cui capitò involontariamente vene apostrofata dalla suora del San Benedetto come “figlia snaturata di Maria Ausiliatrice”).
Una bambina, quindi, decisamente, non timida, tutti pensavamo ma ci sbagliavamo di grosso e questo contrasto era motivo di grande stupore: la predetta, che mostrava disinvoltamente le mutande, si bloccava e ammutoliva quando doveva recitare la poesia che settimanalmente imparavamo a memoria: un contrasto di atteggiamenti stupefacente per ragazzini di 10 anni.
Parma, 29 maggio 2018 memoria del Beato Riccardo Thirkeld