Uno dei saggi che ho più apprezzato nel volume I giorni di Roma è quello dell’archeologo Andrea Carandini dedicato alla nascita della città di Roma, l’Urbe.
Ebbene Carandini racconta che Romolo avrebbe compiuto tre imprese memorabili, senza le quali chissà Virginia Raggi oggi potrebbe fare il sindaco di cippirimerlobau: la prima è la benedizione del Palatino, il 21 aprile, l'”augurium” che rende speciale questo monte, sacro più di ogni altro, qui si trova la sede dell’Urbs e la sede del sovrano.
La seconda impresa è l‘istituzione del Foro e del Campidoglio con l’Arx, centro sacrale e politico dello stato, in un luogo extraurbano e quindi super partes rispetto alle tribù preromane presenti nei vari rioni urbani.
La terza è la “Constitutio Romuli” secondo la dicitura ciceroniana ovvero la costituzione del calendario, basato su 10 mesi, dello spazio con la divisione per rioni, curie, distretti e tribus, e degli uomini divisi tra consiglio, assemblea popolare ed esercito.
In un 21 aprile tra il 775 ed il 750 a.C. Romolo identifica l’area su cui potrà essere edificata la città e seguendo un rituale di fondazione etrusco procede all’aratura del pomerium, il limite sacro che viene poi fortificato.
Sostiene Carandini che, completata l’opera di fondazione delle mura, si procede con il sacrificio di una fanciulla che viene sepolta sotto la soglia di porta Mugonia.
In un breve lasso di tempo Romolo fonda anche il Foro e vi scende a vivere ai margini; il re lascerebbe quindi da subito la sua cittadella sicura sul monte per scendere e dare vita alla politica.
Anche in questo caso, la fondazione è propiziata dal sacrificio di una bambina ed è qui che inizia, con i re greco etruschi, i Tarquini, la “separazione” tra politica e religione: vi è il vero re, condottiero e sovrano da un lato ed un rex sacrorum che riveste il medesimo ruolo ma esclusivamente a fini religiosi e per le relative cerimonie.
Per le vergini a Roma, e non solo, doveva essere vita dura, esposte a pericoli e restrizioni di ogni tipo, quando non finivano per essere sacrificate; mi viene da pensare al padre primigenio, il capo dell’orda, la divinità cui offrire una fanciulla. Nelle società patriarcali l’offerta di una vergine doveva risultare sempre alquanto appetibile, mentalità che si è mantenuta nei secoli se ancor oggi, almeno mi pare, il premio previsto per i buoni musulmani che vanno in paradiso è un certo numero di vergini, alle quali si riforma l’imene dopo ogni rapporto, in modo che restino eternamente vergini. Ma di questo non aggiungo altro, non essendo questione pertinente.
Interessante anche la fondazione del calendario, composto di dieci mesi, nove a rappresentare la gravidanza ed un tempo tra la fine dell’anno, il 23 dicembre, e l’inizio di quello nuovo, il 15 marzo, che rappresentava la sterilità della donna o il periodo prima dell’inizio delle mestruazioni.
Ma la parte più interessante del saggio di Carandini è la differenza tra due diversi modi di vivere la politica, secondo una consuetudine orientale ed una occidentale.
Quella occidentale prevede uno stato organizzato con un bilanciamento dei poteri ed un sovrano, nel caso della monarchia, che comanda sopra tutti; al contrario nell’idea orientale prevale il dispotismo per cui il sovrano è padrone di tutto (nella storia romana, a conferma, i cives godevano di alcuni diritti, come quello di proprietà, che non esistevano per le monarchie orientali ove il re era proprietario di tutto il suolo).
Questo schema di organizzazione istituzionale si ripeterebbe nel corso della storia, secondo Carandini, che cita la Magna Charta, la Lega Lombarda del 1177 e gli Stati generali francesi del 1302 per arrivare alle moderne democrazie occidentali, sarebbe, quindi, il modello prevalente nonostante le numerose parentesi di dominati, assolutismi e tirannidi di vario genere.
Non conosco le monarchie orientali ma quelle occidentali hanno avuto una lunga durata, tanto che si potrebbe sostenere che le forme di democrazia sono state l’eccezione.
Nell’occidente è sempre stata presente l’idea che ci sia uno che occupa il posto di padre, grazie al quale è possibile la civile convivenza; forse non è corretto dirla così ma la figura del sovrano, del padre, garantisce tutti, lasciando ognuno libero nelle proprie iniziative che, se ben strutturate, frutteranno indirettamente o direttamente anche al sovrano stesso.
Da qui viene anche l’idea che c’è un legame, personale, tra il suddito ed il sovrano, un patto per cui la violazione della legge non è la trasgressione di una norma astratta, ma la rottura, il venir meno al rapporto.
Come il peccato.
La violazione del patto, civile o religioso che sia, produce rottura dell’ordine o meglio dell’ordinamento, caos e perdita (economica?).
Parma, 14 agosto 2017 memoria di san Giacinto Odrovaz confessore