Ho raccolto ben volentieri l’invito degli amici Silvia Sangiorgi e Gabriele Trivelloni per un’escursione sulle colline dell’Appennino parmense; da tempo Gabriele insiste nel sostenere che le nostre colline sono suggestive e degne di ben altra considerazione, trovando in me orecchio sordo.
La proposta attuale è la visita di una pieve che ha individuato la mia Ninfa Egeria delle escursioni, l’ottima Silvia, che ha un fiuto infallibile per scoprire piccoli gioielli, in luoghi a portata di mano. Loro si sono muniti di piantina, sistema obsoleto che io disdegno, io di navigatore e nel giro di una quarantina di minuti da Parma, sopra Sala Baganza e Fornovo, ho scoperto la bellissima Pieve di Bardone, dedicata a Santa Maria Assunta, di cui ignoravo totalmente l’esistenza.
La pieve si trova in Val Sporzana (ignotissima pure questa) che ho scoperto essere una valle creata dal torrente Sporzana che nasce alle pendici del monte Croce vicino a Terenzo e confluisce nel Taro, dopo un percorso di 13 km.
Parte di questo torrente è affiancata dalla via Francigena che unisce, in questo tratto Terenzo a Fornovo di Taro; proprio nell’abitato di Bardone c’è, dunque, una pieve francigena, chiamiamola così.
Un paio di curiosità che scoperto grazie a Silvia e ad un simpatico ed arzillo signore 85enne del posto: l’esistenza di giacimenti petroliferi con tanto di miniera almeno così è indicata in un cartello stradale, che è stata sfruttata dal 1905 al 1994; la seconda curiosità riguarda le fortune del paese, un tempo di notevole importanza perchè situato sull’unica strada di collegamento tra Parma e Luni, in Lunigiana e quindi col mare.
Agli inizi dell’Ottocento, per decisione di Napoleone, la creazione della strada della Cisa, trasportò il traffico dalla val Sporzana alla val Taro, decretando la decadenza dei paesi posizionati in questa valle.
La pieve è davvero molto graziosa, all’esterno non è niente male ma quel che è più interessante è custodito all’interno.
Veniamo brevemente alla sua storia.
Questa chiesa venne edificata in tempi assai remoti, in epoca paleocristiana, ricostruita in epoca romanica, rimaneggiata in modo consistente durante il XVII secolo. La cella campanaria e la zona absidale sono quelle che più delle altre mostrano il sovrapporsi dei diversi elementi architettonici nel tempo.
I frammenti di ceramiche graffite rinascimentali e il lacerto dell’affresco che recava dipinta la figura di Sant’Ilario (datato al 1516) e collocato sulla colonna della navata di sinistra poi inglobata in un pilastro sono gli elementi rinascimentali ancora visibili.
Ma è nella seconda metà del Seicento che si avvia una fase di rapido cambiamento che modifica l’aspetto generale della Pieve. Tra il 1640, quando si sistema la copertura, al 1697, anno in cui viene realizzato il finestrone della facciata, numerosi sono gli interventi: si restaura il campanile, si creano le cappelle laterali, si realizza la nuova pavimentazione in laterizio, si arricchisce l’apparato decorativo, si colloca un nuovo altare maggiore e alcune ancone, come quelle in stucchi bianchi della Cappella del Suffragio [tratto da www.stradadelfungo.it].
Prima di entrare, pagando due euro di biglietto ad un’anziana e cortesissima signora, una delle poche rimaste a garantire la pulizia e la cura della pieve, notiamo sul lato destro della chiesa, un portale in arenaria nella cui lunetta figura una Madonna con Bambino e un Santo.
All’interno sono custodite alcune opere davvero pregevoli, sculture di scuola antelamica datate tra il XII e il XIII secolo: due leoni stilofori originariamente ai piedi del portale, i santi Pietro e Paolo, due figure maschili stilofore e due lastre rappresentanti la Deposizione e la gloria di santa Margherita.
Queste lastre, considerate opera di uno dei collaboratori di Benedetto Antelami, chiamato Maestro di santa Margherita, facevano parte del pulpito di Fornovo, smembrato nel 1578 in occasione del rinnovamento degli arredi liturgici promosso dalla Controriforma … e oggi parliamo di riciclo…
Il modello della Deposizione è certamente l’analogo oggetto custodito nella Cattedrale di Parma, qui riproposto con una tenaglia in primo piano che ricorda la concretezza degli attrezzi da lavoro del tempo.
Molto bella anche la glorificazione di santa Margherita, che se non prendo granchi pazzeschi, dovrebbe essere santa Margherita d’Antiochia, santa famosissima nel medioevo, conosciuta per essere una di quelle che “parlavano” a santa Giovanna d’Arco, poi caduta in oblio come tanti santi di quell’epoca legati a realtà rurali o a mestieri ormai scomparsi.
Questa santa, martire, è stata uccisa a 15 anni, dopo avere resistito alle profferte amorose del prefetto Ollario che, umiliato dal rifiuto, la denuncia come cristiana.
Rinchiusa in carcere, riceve la visita del demonio che, sotto forma di drago, la inghiotte; Margherita, armata di croce, squarcia il ventre alla bestia, sconfiggendola ed uscendone incolume, il che le è valso il titolo di protettrice delle partorienti
A conclusione del bel pomeriggio una chiacchierata gradevolissima con un anziano del posto, cordiale come sanno essere in posti dove arriva sempre gente nuova, i francigeni, transitati con una media, in agosto di 30 al giorno.
Il paese, almeno in questo periodo, è ben abitato, con case ben tenute, giovani e bambini in giro: tutto trasmette una sensazione di tranquillità e pace, lontano dalle frenesie cittadine, tanto lontano da farmi apparire davanti un curioso “Ciao”, ciclomotore di moda quando ero ragazzino, con conducente privo di casco e con “targhino” ormai irregolare da tempo.
Quel tipo di vita che ti aspetti in un paese in collina.
Una giornata di piacevoli scoperte, a due passi da casa, come spesso accade.
Pieve di Bardone, 28 agosto 2016, memoria di sant’Agostino di Ippona