Prima di rifarmi il naso mi ero concesso un salto a Piacenza, dove dovrò tornare; città che mi era piaciuta sia per la sensazione di tranquillità che mi ha trasmesso, sia per un certo senso di spaziosità del centro storico, che mi ha fatto sentire a mio agio.
Piacenza è anche una città pretesca, con tradizioni cardinalizie, il piacentino ha fornito un certo numero di porporati negli ultimi tempi; inoltre ha numerose chiese, degne di interesse; me ne sono sfuggite alcune, d’altronde l’intervento al naso incombeva e non potevo trattenermi tutto il giorno, e per questo mi concederò un supplemento di visita.
Ho visitato la chiesa di san Rocco che ha alcune pregevoli opere: un quadro raffigurante una Madonna di Giuseppe Nuvolari, un San Rocco (nascita e morte) di Giuseppe Gorla e dello stesso santo un’apoteosi di Paolo Bozzini. Nel presbiterio è posta una statua del santo titolare risalente alla fine del cinquecento. (fonte www.http://turismo.provincia.piacenza.it/it).
Ma san Rocco è solo un antipasto: la mia insaziabile voglia di chiese cerca ben altro ed ecco che la direzione di marcia è verso la cattedrale; prima di arrivarci incoccio nella bella basilica di san Francesco.
Il nome già dice chi si occupò della sua edificazione, tra il 1278 e il 1363, i Frati Minori, in obbedienza alla volontà del ghibellino Umbertino Landi; lo stile è gotico lombardo con facciata in cotto.
Somigliante all’omonima basilica bolognese risente degli influssi dell’architettura monastica borgognona cistercense, come la planimetria absidale con cappelle radiali. La facciata è composta da due contrafforti, rosone, cuspide e guglie, nonché un portale mediano quattrocentesco e sui fianchi poderosi archi rampanti.
L’enorme chiostro originario è molto ridimensionato per via di lavori voluti negli anni ’40 del secolo scorso, che ne hanno demolito una gran parte.
Nella lunetta del portale spicca la scultura delle Stigmate di San Francesco databile attorno al 1480 circa ma quel che più ho apprezzato è un bassorilievo, Rettore in cattedra e frati, eseguito nella bottega di Giovanni Antonio Amadeo intorno al (1490), molto bello davvero, pur nella sua semplicità.
La cupola della cappella dell’Immacolata, con la rappresentazione dell’Assunzione è affrescata da Giovanni Battista Trotti detto “Il Malosso” (1597) che ha dipinto anche la pala d’altare con la Concezione di Maria.
Altra opera molto interessante, e di quel genere che ho imparato ad apprezzare durante la mia vita modenese, è il Compianto su Cristo morto, di Francesco Domenico Reti, autore settecentesco.
L’opera, in stucco, ricorda i compianti di Modena e di Bologna che ho molto apprezzato come tragiche rappresentazioni del momento della deposizione di Gesù: l’intensità tragica dei personaggi presenti, normalmente i soliti, cioè le “tre Marie” (Madonna, Maria Cleofa e Maria Salome), la Maddalena, Giovanni apostolo ed evangelista e Giuseppe di Arimatea e Nicodemo, spesso coi volti quasi sfigurati invita ad aderire emotivamente allo straziante spettacolo.
Tipici esempi della spiritualità francescana che, si pensi al presepe, “inventa” questa forma di coinvolgimento dei fedeli molto incentrato sulla visione e sull’emotività.
Questa idea di puntare sulla visione mi crea sempre un po’ di inquietudine, soprattutto dopo avere letto, ma non è una novità, queste parole: “Maggiori prospettive possiede l’immagine in tutte le sue forme, compreso il film. Qui, c’è ancor meno bisogno di lavorare con l’intelletto: basta guardare, tutt’al più leggere brevi testi: perciò molti sono più disposti ad accogliere in sé un’esposizione fatta con l’immagine che a leggere un lungo scritto.
L’immagine apporta in breve tempo, e quasi di colpo, chiarimenti e nozioni che lo scritto permette solo di ricavare da una noiosa lettura.”
Non svelo la fonte ed ammetto che il paragone è improponibile ma io non voglio stabilire un parallelo quanto mostrare come, nel corso dei secoli, con maggiore o minore lucidità si siano utilizzate le immagini per educare le masse; non è un’invenzione moderna anche se la modernità l’ha trasformata in scienza.
Ho scoperto che questa basilica è considerata tempio cittadino perchè qui i poco accorti piacentini, nel 1848, proclamarono, con plebiscito, l’annessione di Piacenza al Regno di Sardegna; furono i primi e per questo la città si fregia dell’appellativo di Primogenita.
Lasciamo certe non invidiabili primogeniture per passare alla cattedrale, che ha dignità di basilica minore ed è dedicata a Santa Maria Assunta e Santa Giustina.
Bell’esempio di architettura romanica, col campanile sovrastato dal famoso angelo che, come a Parma, è chiamato angelo del duomo (mi risparmio il dialetto), fu costruita tra il 1122 e il 1233.
Importanti gli affreschi, realizzati tra il XIV e il XVI secolo, da Camillo Procaccini e da Ludovico Carracci; quelli della cupola, seicenteschi, sono opera di Pier Francesco Mazzucchelli, detto il Morazzone e di Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino.
Molto bello l’Altare del Crocifisso (1504), rinascimentale, con firma e data poste da Ambrogio Montevecchi, famoso soprattutto per l’attività nel Duomo di Milano.
Importante anche dal punto di vista storico simbolico è il battistero paleocristiano a vasca in marmo ”cipollino” di Eubea. Fu qui collocato intorno al 1544, proveniente dalla chiesa di S. Giovanni de Domo, distrutta in quell’anno per ordine del cardinale Marino Grimani, Legato Pontificio, per lasciare spazio alla piazza della Cattedrale.
La vasca monolitica misura cm. 296 x 157, l’altezza esterna è di cm. 98, la profondità di cm. 73 databile tra la fine del IV o degli inizi del V secolo (fonte: http://duomopiacenza.it/).
Piacevole anche l’annesso museo, immancabile, dove un cortese anziano signore mi attacca un bottoncino, gradevole. Il nome del museo, kronos, non lo trovo azzeccato per niente perché la notizia cristiana, il vangelo, ha spazzato via il kronos, ove ha fatto irruzione il kairos, il tempo della salvezza, ma non perdiamoci in disquisizioni.
Il museo custodisce il Libro del Maestro, ovvero del canonico “Magister scholarum”, tra i canonici della Cattedrale colui che aveva compiti didattico-culturali, poi argenti e tessuti liturgici, il trittico di Serafino de’ Serafini, la Madonna dello Zitto di Giovanni Battista Tagliasacchi.
Mi sono sfuggite alcune chiese ma ci tornerò con calma e completerò.