Di ritorno da Milano, ho dedicato la seconda parte del pomeriggio alla santa Messa, in San Benedetto, mia parrocchia.
La celebrazione inizia con qualche minuto di ritardo a causa di un matrimonio.
Notavo, durante la poco piacevole attesa, che su alcuni pali dell’illuminazione, nel sagrato, erano appesi alcuni fogli, consuetudine in queste occasioni; uno di questi ritraeva il presunto sposo dietro una grata.
Ho visto vignette del genere in numerosi matrimoni, almeno nelle zone ove questi si celebravano o dove vivevano i futuri coniugi.
Inviti a ripensarci, a non rinunciare alla libertà e fregnacce del genere; corollario solito è il rito dell’addio al celibato, che nel caso specifico, tuttavia, non so se si sia tenuto.
In sintesi: una neonata famiglia cattolica ha degli amici che pensano bene di ritrarre lo sposo, ma presumo anche la sposa, come in carcere.
Mi si obietterà che trattasi di scherzo, il che è vero e proprio per questo è ancor più preoccupante per lo stato dell’arte della questione della famiglia.
Lasciamo da parte gli attuali coniugi, cui auguro una lunga e feconda convivenza nonostante mi abbiano inflitto la visione da tergo di un paio di signore in gonna sollevata dal vento, da brividi, con profluvio di grasso e cellulite da farmi invocare quei bei tempi in cui le donne andavano rigorosamente e abbondantemente vestite fino ai piedi.
Ricordo a questo proposito un episodio di alcuni decenni fa presso la parrocchia che frequentavo ai tempi, le Sacre Stimmate: ad una messa prefestiva una mia amica si presentò a fare la comunione con un vestito smanicato, niente di particolarmente indecente, anzi quasi sobrio. L’anziano sacerdote che celebrava invece del consueto “Corpo di Cristo” la apostrofò con un simpatico”la prossima volta vieni più vestita” che ottenne in risposta un impertinente “amen”.
Ma torniamo a oggi: l’addio al celibato e le vignette che invitano a sfuggire alle catene, celle e altre amenità tiranniche del genere cosa ci suggeriscono?
Che il matrimonio è, come si usa dire, la tomba dell’amore.
Quindi il godimento obbligato dell’addio al celibato, celebrato normalmente con alcol accompagnato da procaci e avvenenti donnine (o maschietti palestrati e desnudi vista la deprecabile par condicio di oggi) cui dire addio perchè la soddisfazione, dal giorno del matrimonio, dovrà scemare per forza.
Non bastasse, l’idea delle sbarre ci dipinge quel rapporto come carcerario: conosco un giovane collega che ogni santo giorno riceve un certo numero di telefonate dalla moglie che si sincera di dove sia, con chi lavori e cosa stia facendo.
Sono stato informato alcuni giorni fa di una coppia con 4 figli, sono due sui 45 anni circa, con la moglie gelosa di un marito col quale non ha rapporti sessuali da 7 anni. Il marito, che conosco, è molto ma molto religioso…
Se la famiglia fosse realmente un istituto naturale credo si potrebbe dire che l’uomo è naturalmente condannato all’infelicità.
Potrebbe essere che la famiglia sia un falso problema? uno di quelli che nasconde la vera questione ovvero il rapporto tra uomo e donna che è cosa ben diversa.