Eccoci al capitolo primo dell’opera Sessualità e nazionalismo di George L. Mosse che sto leggendo, dedicato a virilità e omosessualità; come tutti gli scritti di questo autore il volume è di quelli da non perdere per la fonte di informazioni, l’acume della trattazione, il materiale messo a disposizione.
Questo riassunto, come tutti quelli che lo precedono e lo seguiranno ha lo scopo di fungere da antipasto, far venire voglia di leggerlo, acquolina in bocca, come a me è venuta.
L’idea di virilità servì per tutelare l’ordine costituito contro i pericoli che la modernità portava alla distinzione tra normale e anormale; incarnò anche il simbolo della vitalità spirituale e materiale della nazione perché la virilità esortava alla forza fisica e mentale, ma sempre tenuta sotto controllo: le energie dell’uomo dovevano essere sempre sottomesse ad un più alto ideale.
Anche le donne ricoprirono un ruolo simbolico nella mistica della nazione, incarnando Germania e Marianna, ma in un ruolo sempre più pacato che dinamico, che richiamava l’immutabilità piuttosto che il progresso: la donna ideale forniva la scena sul quale gli uomini avrebbero forgiato il destino delle nazioni.
La virilità si modellò sull’ideale di bellezza maschile nato con la riscoperta della Grecia del XVIII secolo; al contrario la donna, nell’iconografia inglese o tedesca, si rifece a rappresentazioni della vergine Maria.
Un altro ideale su cui si forgiò la virilità fu quello aristocratico della cavalleria che fece proprio come modello di comportamento ed esempio di virtù eterne in un mondo in cambiamento.
La virilità fu un concetto borghese che si formò durante le guerre della rivoluzione francese quando moltissimi volontari delle classi medie misero alla prova la loro, arruolandosi volontari.
Essa rafforzò la divisione del lavoro, non solo quell’economica ma anche quella sociale e sessuale; i ruoli dei sessi dovevano essere chiaramente differenziati al punto che nemmeno i bambini potevano sfuggire ed infatti anche per loro venne creata una sfera a parte.
Divisione del lavoro all’interno della famiglia e distinzione tra mascolinità e femminilità furono riaffermati come imperativi dell’epoca moderna.
La borghesia aveva generato un dinamismo sociale che la spaventava e per ovviare al quale era necessaria un’ordinata divisione del lavoro e una vita familiare stabile: il cemento che saldò le diverse istanze in conflitto fu l’ideale della rispettabilità.
Chiunque attaccasse le norme di comportamento borghese o trasgredisse i limiti di ruolo maschile femminile era da considerare un anormale e perciò minaccioso per la società così come gli stranieri, non appartenenti alla tribù, i criminali abituali, i pervertiti sessuali e gli ebrei.
La perversione sessuale fu vista come un pericolo per la sopravvivenza della classe media ben peggiore delle agitazioni delle classi inferiori e molto di più dell’arroganza dell’aristocrazia: gli omosessuali, ad esempio, si pensava che violassero la distinzione dei sessi ma anche che vivessero un eccesso sessuale che sconvolgeva il delicato equilibrio tra le passioni; interessante a questo proposito una citazione di Baden-Powell,
una frase rivolta ai suoi boy scout: “l’energia che l’animale primitivo ripone quasi esclusivamente nel sesso si è rivolta nell’uomo verso tutt’altre attività, come l’arte, la scienza”; un omosessuale sarebbe dunque un primitivo e, nel primo Ottocento, venne associato a ogni tipo di ribellione; in Inghilterra, ad esempio si riteneva fornissero aiuto e ospitalità al nemico, durante le guerre della rivoluzione francese.
Anche la Chiesa cattolica cambiò atteggiamento nei confronti dei pervertiti: la teologia, prima che la virilità fosse diventata così importante, non si era preoccupata di tracciare una linea immutabile tra normale e anormale, l’omosessualità era un peccato contro l’ordine divino e quindi contro natura, le pratiche omosessuali portavano al castigo divino sotto le forme di ribellioni, rivoluzioni e altre catastrofi naturali come la distruzione della città di Lot ma nessuna crociata era mai stata intrapresa contro questo vizio.
Il termine omosessuale fu coniato dalla medicina e solo lentamente, nella seconda metà del XVIII secolo, sostituì il più tradizionale “sodomita”; i teologi morali cattolici, comunque, avevano spesso evidenziato il fattore biologico dell’omosessualità, indagando se un atto omosessuale avesse imitato le posizioni di quello eterosessuale, quale ruolo avesse ricoperto l’individuo e se un atto fosse stato consumato o meno: pur nel quadro di una globale condanna del vizio contro natura, il cattolicesimo graduava la valutazione del peccato.
Ne la “Theologia Moralis” Alfonso Maria de’ Liguori, pur concordando con i protestanti sul rifiuto della nudità del corpo, come occasione di vizio, investigava gli atti e i comportamenti arrivando a graduare le pene; quest’opera divenne il manuale dei confessori cattolici che, di conseguenza, furono molto meno netti dei teologi protestanti; questi ultimi non erano interessati a tutte queste finezze che rischiavano di indebolire il limite tra normale e anormale.
Calvino, in un commento al libro di Isaia, ammoniva che Dio avrebbe punito non solo le mogli dissolute ma anche i loro mariti e lo Stato che avesse tollerato questi comportamenti; ogni atto sessuale fuori dal matrimonio oppure a scopo non procreativo era assolutamente condannato ed era un peccato anche solo immaginarlo; anche il protestantesimo fornì casistiche di istruzioni pratiche per il miglior comportamento possibile ma il suo realismo morale, circa quel che lo Stato e i suoi governanti dovevano fare, contrastava nettamente con i categorici imperativi sul comportamento e sui pensieri, dell’individuo.
Pietismo ed evangelicalismo trovarono, dunque, una tradizione consolidata di inflessibilità quando emersero e contribuirono a tirare ulteriormente la cinghia: il rigore morale che era la chiave di volta della rispettabilità contribuì a differenziare l’intensità della morale borghese protestante ed i paesi cattolici; la “permissività sessuale” di Liguori scandalizzò i protestanti e fu usata come attacco contro la Chiesa cattolica, accusata di logorare la fibra morale del popolo tedesco e di minare, quindi, la prosperità della nazione.
Nella seconda metà del XIX secolo anche la Chiesa cattolica era diventata molto più rigorosa nei confronti di ogni comportamento potenzialmente pericoloso per la santità del matrimonio e della famiglia: nel 1909, in Belgio, i vescovi si pronunciarono contro ogni forma di coitus interruptus, presto seguiti da altre chiese nazionali; i vescovi tedeschi lottarono contro il declino delle nascite poiché avere figli era insieme un dovere cristiano e patriottico.
La Chiesa cattolica comunque fu sempre più tollerante nel definire un’effettiva colpevolezza; al contrario della rigidità di evangelici e pietisti, sostenuta dalla corporazione medica, anzi, nel XIX secolo, furono i medici a stimolare la consapevolezza dell’omosessualità come problema sociale, essi si sostituirono, almeno in parte, ai ministri del culto nel ruolo di custodi della normalità.
Due citazioni a confronto, la prima da da “The Lancet” (1819): “siamo responsabili dell’impiego della nostra specifica autorità nel promuovere la purificazione e il benessere della società”, questo il direttore di una rivista medica; la seconda da Proust: “il mio confessore non poté trovare nulla da dirmi, mentre il dottore mi disse che ero malato”.
La medicalizzazione dell’omosessualità, nel XIX secolo, contribuì a tracciare un limite netto tra sessualità normale e anormale, la medicina legale aiutò giudici e giuria nel tentativo di rinforzare le leggi contro la sodomia, delineando uno stereotipo da usare per identificare gli omosessuali.
All’inizio dell’Ottocento l’illuminismo aveva favorito la depenalizzazione dell’omosessualità, il codice napoleonico del 1810 puniva solo seduzione di minori o violenza, ma verso fine secolo ci fu un nuovo inasprimento; l’Inghilterra che aveva ignorato il codice napoleonico, mantenne la pena di morte per gli omosessuali fino al 1861, la Scozia fino al 1889; in Germania alcuni Stati come la Baviera seguirono l’esempio del codice napoleonico, altri come la Prussia, non lo fecero: qui la pena di morte fu abolita nel 1851 ma rimase la punizione con la prigione e la perdita dei diritti civili (legge del Reich nel 1871).
L’abolizione della pena di morte in Inghilterra fu seguita, nel 1885, dal Criminal Law Amendment che puniva, come oltraggio al pudore, le pratiche omosessuali commesse sia in pubblico che in privato: questo inasprimento come quello prussiano, non ebbe né motivi religiosi alla base né medici, era il senso di giustizia della gente a richiederlo.
La scienza medica giustificò la criminalizzazione dell’omosessualità, come aveva fatto in precedenza la Chiesa, e cercò di identificarla creando uno stereotipo ad uso delle corti di giustizia: questo statuto medico determinò la maniera stessa in cui la società percepiva l’omosessuale; lo stereotipo venne costruito recuperando precedenti nozioni sulla devianza sessuale.
Secondo il medico Simon André Tissot (L’Onanisme, 1758) la maladie des nerves che portava alla masturbazione, altra anormalità sessuale, esauriva le facoltà spirituali dell’anima e portava ad ogni altra malattia fisica oltre che all’imbecillità.
L’apparato medico cominciò a interessarsi molto all’uomo non virile, che non si limitava ai soli omosessuali; vi era grande interesse alle abitudini sessuali dei pazienti e masturbazione e omosessualità erano attribuite a cattivi pensieri o a disturbi nervosi.
Il vizio, non importa come praticato, aveva sempre e comunque conseguenze pubbliche e private, così sosteneva nel 1796 il medico Johann Valentin Müller, nel suo Lineamenti di medicina legale, che aveva lo scopo di aiutare il tribunale a riconoscere i pervertiti per poterli condannare.
Egli descriveva di questi ultimi i segni esteriori seguendo l’opinione comune secondo cui l’aspetto esteriore rivelava sempre la segreta pratica del vizio: occhi arrossati, spossatezza, accessi di depressione, trascuratezza dell’aspetto personale oppure il fatto che la testa del soggetto tendesse distrattamente a stare inclinata.
Müller tentò di mettere in relazione tutte le perversioni sessuali e sostenne l’idea che fu poi la ripresa un secolo dopo da Richard von Krafft-Ebing, nella famosissima Psychopatia sexualis,
che la masturbazione portava all’omosessualità; egli considerata la malattia sessuale come un pericolo per la salute dello Stato, sicché fu ripresa spesso, durante il XIX secolo, per giustificare la punizione del vizio: sodomia e masturbazione conducevano all’impotenza e quindi allo spopolamento; la segretezza che si accompagnava alla sessualità deviata assomigliava a una cospirazione che semina odio verso lo Stato; i viziosi mancavano sia di senso morale che di responsabilità civile, la loro anima era incapace di spiritualità e il loro corpo era fiacco e senza tono.
A fine Ottocento inizi del Novecento si impose l’abitudine di paragonare la salute alla virilità, come fece ad esempio il dottor P. Möbius, nel suo Sessualità e degenerazione del 1903 dove oppose lo stereotipo fisico del deviante sessuale all’essere umano sano che egli descriveva come “molto agile e alto, con una faccia mai sgradevole”; Adolf Hitler descriveva il tedesco ideale con la locuzione “agile e alto”.
L’immagine della malattia e della depravazione era stata comunque usata prima di Möbius per controbilanciare gli emergenti modelli nazionali di virilità simboleggiati dalle abbronzate statue greche; l’ideale di bellezza greca elaborato da Winckelmann si integrò nello schema dei valori borghesi in relazione a pudore, castità, purezza, nulla in comune con gli omosessuali di Müller o con gli altri stereotipi di emarginati, spossati dal continuo movimento, privi sia di ideali che di volontà di promuovere attività dotate di uno scopo.
I modelli greci e la rispettabilità borghese non furono sempre facilmente integrabili: Hölderin e Schiller collegavano il loro culto della bellezza greca non alla famiglia ma all’amicizia maschile, al Männerbund, la cui popolarità non venne mai meno nella Germania del XIX secolo.
Il culto dell’amicizia maschile, di cui si era nutrita la letteratura tedesca del XVIII secolo in abbondanza fu visto con crescente sospetto anche se l’amore tra uomini, a differenza di quello tra uomo e donna, era stato riconosciuto come privo di ogni sensualità.
C’era chi considerava questo Bund come una precondizione dell’unità tedesca, richiamandosi a Fichte nell’idea che il vero amore dovesse trascendere le relazioni personali per abbracciare l’intera nazione; l’intimità di queste amicizie nel loro lessico sentimentale fu preso di mira quando trionfarono rispettabilità e relativo concetto di normalità; non si rinunciò agli ideali greci di amicizia e bellezza ma li si adattò all’amore eterosessuale.
Nei primi decenni del XIX secolo la bellezza maschile rappresentò soprattutto il simbolo dell’ordine eterno e la garanzia di sanare un mondo malato, così Schiller nel 1795 considerava la bellezza una forma di salvezza degli uomini dalla brutalità e dall’esaurimento.
Ordine e l’armonia dovevano controllare le passioni.
L’idea di virilità ed il relativo modello di bellezza maschile mutuato dalla Grecia antica fu fatta propria dal nazionalismo europeo quale simbolo nazionale e stereotipo: l’ideale greco vide accentuate armonia proporzione e bellezza trascendente mentre veniva depurato di ogni erotismo; questa virilità poteva rappresentare contemporaneamente l’immutabilità dei valori in un periodo di cambiamenti e cambiamento stesso che pur dinamico sarebbe stato ordinato e adeguatamente finalizzato.
Al contrario l’omosessuale e il masturbatore, nervosi e solitari, ben delineati dagli stereotipi medici di consunzione morale e degli ideali estetici, divennero il simbolo della minaccia al nazionalismo e alla rispettabilità.
Il nazionalismo cercava ispirazione nei valori preindustriali, quindi nel passato, fondando gli ideali sull’immutabilità della storia, della natura e della bellezza eterne; quella stessa modernità che la borghesia aveva contribuito a creare, ora appariva come una minaccia alla stabilità: il dualismo normale-anormale, già visto in ambito estetico e medico, rappresentò ulteriormente un’altra contrapposizione, quella tra autenticità e artificialità, tra crescita armoniosa e disordinata.
A partire dall’Ottocento i sostenitori di nazionalismo e rispettabilità si sentirono minacciati dallo sviluppo delle metropoli che rappresentavano il simbolo di un’età artificiale ed irrequieta, secondo la convenzione che le metropoli distruggessero le radici dell’uomo, lo portassero all’alienazione e alla passione sessuale sfrenata, poiché gli estremi di lusso e miseria, uno accanto all’altra, si pensava favorissero la devianza sessuale.
Caspar giustificò con questi argomenti il prosperare della sodomia nelle città italiane secondo il ben noto schema tedesco di un Nord ordinato ed un Sud sensuale.
In Inghilterra, la stampa londinese, trattando di casi giudiziari di omosessualità e che spesso riferimento alle città bibliche di Sodoma e Gomorra: gli oscuri recessi della città erano considerati i terreni di coltura di omosessualità e masturbazione.
Il villaggio o la cittadina, immersi nella natura, non hanno recessi ove il vizio possa allignare e sono la dimora di chi è nato sul proprio suolo, al contrario le città sono il ricettacolo degli estranei cioè degli ebrei, i criminali, malati di mente, omosessuali; queste argomentazioni furono riprese quasi letteralmente, durante il terzo Reich, da Heinrich Himmler.
Ogni mito per risultare credibile deve avere un minimo di verità, questo significa che una qualche subcultura doveva esistere almeno delle metropoli come Berlino o Londra e in effetti il medico berlinese Iwan Bloch descriveva, nel 1906, le tentazioni della grande città: sale da ballo, cabaret che erano poco più che sontuosi bordelli; nel XX secolo venne quindi il fatto rivivere il legame tra città e sessualità illecita.
La presunta anormalità sessuale fu particolarmente stigmatizzata nella seconda metà del XIX secolo grazie alle teorie darwiniane che si ritenevano applicabili all’amministrazione della società: come i medici avevano dato copertura scientifica alla necessità del rigore sessuale, così usando di Darwin e della teoria della selezione naturale si sostenne che questa avrebbe sostenuto un organismo nazionale sano, cioè immune da malattie ereditarie e da debolezza morale.
Questo comportava la consacrazione dell’attività riproduttiva perché solo i più forti sopravvivono e la crescita demografica dipenderà dall’eliminazione di quei vizi che possono minare la virilità degli uomini, condurre alla malattia e indebolire la forza di volontà; anche chi propendeva per una maggiore libertà per gli omosessuali partecipò di questo clima e attribuì loro una virilità rispettabile, con caratteristiche fisiche e mentali tali da essere di aiuto nella lotta nazionale per la sopravvivenza.
Il benessere della nazione tedesca ad esempio, prevedeva di mantenere l’ideale di mascolinità in contrasto con sensualità ed effeminatezza;Richard von Kraft-Ebing definì chi si masturbava come codardi e privi di fiducia in se stessi e sostenne che periodi di decadenza morale di una nazione erano sempre accompagnati ad effeminatezza, sensualità, lusso.
Si sostenne che la lotta alla masturbazione fosse una battaglia per l’altruismo perché questa era ritenuta il fondamento di ogni perversione sessuale e ciò che era vero per chi si masturbava era ritenuto vero anche per gli omosessuali che, insomma, erano un pericolo per la comunità nazionale.
Altri argomenti contro le pratiche sessuali non riproduttive si ricollegavano al pragmatismo dell’età industriale, come nel caso di un medico francese, che durante il regno di Luigi Filippo, sosteneva che la masturbazione fosse come gettare soldi dalla finestra.
Nella lotta per la sopravvivenza nazionale il concetto di degenerazione fu l’antitesi di quello di virilità e fu formulato per la prima volta nel 1857, da Benedict Augustin Morel, come definizione medica di un processo per il quale uomini e donne erano vittime di un veleno morale e fisico; i veleni variavano dall’alcolismo all’uso di oppio, da malattie debilitanti, dall’ambiente sociale, da un temperamento nervoso, da facoltà morali malate e da una debolezza fisica e morale ereditaria.
Morel dava un significato medico al termine degenerazione ma lo deduceva dalla sua interpretazione della Genesi: prima del peccato Adamo era l’uomo ideale, dopo vi è stata una degenerazione del livello originario; fu un altro medico, però, a divulgare il concetto clinico di degenerazione, tale Max Nordau, che nel 1892 lo utilizzò per accentuare la distinzione tra normalità e anormalità cioè tra virtù borghesi che portavano al progresso e i vizi che condannavano all’estinzione dell’individuo, la famiglia e la comunità nazionale.
La legittimità di qualsiasi desiderio andava giudicata in base ai modelli della società; per Nordau le innovazioni tecnologiche avevano sconvolto la vita per colpa dell’accelerazione del tempo, rovinando il sistema nervoso; la degenerazione poteva essere vinta solo con nervi d’acciaio, idee chiare, duro lavoro, controllo rigoroso su fantasia e immaginazione, in definitiva con i principi della virilità; al contrario il degenerato era riconoscibile dal corpo deforme.
Lo stereotipo dei degenerati sessuali fu quasi completamente ricalcato su quello delle razze inferiori che si riteneva manifestassero mancanza di moralità e totale assenza di autodisciplina: per il medico gli ebrei avevano una sessualità eccessiva che trasformava in amore lussuria e rendeva questi due razze difettose di virilità; degli ebrei si diceva che possedessero tratti femminei così come gli stessi omosessuali erano considerati.
L’anormalità, quindi, poteva essere vista sia dal punto di vista medico sia da quello nazionale ed infatti Proust sosteneva che tanto l’ebreo che l’omosessuale si sentivano “membri di una confraternita” e intuitivamente riconoscevano membri dello stesso gruppo; egli riteneva l’omosessualità una malattia incurabile e tutta la sua opera è pervasa dall’idea che il perseguitato collabori con il persecutore così come fece, appunto, egli stesso dipingendo l’omosessuale come un degenerato dall’aspetto effeminato.
L’odio verso se stesso dell’omosessuale Proust non era diverso dall’atteggiamento che molti ebrei nutrivano nei confronti della razza cui appartenevano: reazione dell’estraneo che viene rifiutato per un incomprensibile difetto e che viene tollerato solo finché il vizio possiede il fascino dell’inusuale.
La medicalizzazione dell’omosessualità aveva fissato il ruolo dell’omosessuale; l’anormalità infatti, si estendeva anche al temperamento, aspetto e struttura corporea e, nel XIX secolo, l’antitesi della rispettabilità.
La medicina rivendicava la scientificità dei propri studi e questo comportò, alla fine, una riconsiderazione del ruolo dell’omosessuale grazie agli studi di medici che intendevano abbandonare i pregiudizi morali fino ad allora dominanti.
Tra Ottocento e Novecento nacque la nuova scienza della sessuologia, che aiutò a riconsiderare questa questione: l’esempio più famoso fu quello di Richard von Krafft-Ebing che, all’inizio, pretendeva di saper riconoscere gli omosessuali dai segni fisici di degenerazione; egli considerava l’omosessualità una malattia non diversa da masochismo e sadismo e sosteneva la necessità di una guerra continua contro gli istinti dell’uomo perché l’intemperanza sessuale incoraggiava la tensione nervosa, mentre le metropoli portavano al declino di famiglia e nazione; nel corso degli studi però, arrivò a cambiare opinione, e a sostenere che l’omosessualità, sebbene fosse contraria alla legge naturale e rappresentasse una forma di degenerazione, fosse compatibile con l’elevatezza intellettuale e raffinate facoltà spirituali; gli omosessuali meritavano di pietà che disprezzo.
Havelock Ellis sosteneva invece, che l’omosessualità rendesse possibile la civiltà umana perché le energie degli uomini erano rivolte più verso i rapporti pubblici che non quelli privati visto che gli omosessuali non potevano avere moglie né famiglia; egli riteneva che l’omosessualità non dovesse essere ostentata e che gli omosessuali fossero protetti; in sostanza pensava che l’omosessualità fosse una questione privata.
Magnus Hirschfeld invece, definì l’omosessuale come un terzo sesso intermedio e per ciò una variante naturale e legittima e quindi che non doveva essere vittima di discriminazione. Questa discussione sull’omosessualità portò al rifiuto della sua concezione di malattia di mente; tuttavia l’avere sottolineato il loro contributo alla letteratura e all’arte fece sì che gli omosessuali restassero delle creature a parte, in fondo estranei a quella società di cui la virilità era il nodo fondamentale; questi cambiamenti della condizione omosessuale, frutto del lavoro dei sessuologi, non furono in grado di incidere, nel breve termine, sui pregiudizi morali della medicina, che continuarono ad avere effetto per almeno un cinquantennio.
Gli estranei che tentavano di farsi accogliere nel tessuto sociale, utilizzando qualche scappatoia, offrono di riflesso l’immagine della società cui volevano accendere, acuita dagli sforzi fatti per integrarsi.
Per gli omosessuali questo significò la contestazione dello stereotipo della promiscuità, attraverso la rivendicazione di una moderazione sessuale che era un’esigenza fondamentale della rispettabilità: tutti coloro che difesero gli omosessuali sostennero la purezza sessuale di questi ultimi, di cui cercarono anche di offrire delle immagini di virilità.
Gli omosessuali utilizzavano varie strategie per attestare la loro virilità; una di queste sosteneva che il loro spirito di cameratismo ne faceva i migliori soldati, come testimoniato dalle battaglie dell’antica Grecia.
Benedict Friedländer, ad esempio, sosteneva che l’omosessualità era necessaria in ogni buon esercito perché gli omosessuali erano gli unici in grado di trascendere la sessualità e questo li rendeva particolarmente virili; egli fece proprie le teorie su virilità e rispettabilità cui aggiunse anche il razzismo e l’esaltazione dei valori marziali.
Egli sostenne che erano gli ebrei ad attaccare gli omosessuali con l’intento di minare la virilità e l’autoconsapevolezza ariane; pur essendo ebreo accentuò molto l’aspetto razzista, probabilmente il suo pedaggio per l’accettazione nella società, a scapito di qualcun altro.
L’utilizzo di della razzismo per guadagnarsi la rispettabilità su un tema costante della prima rivista omosessuale tedesca “Der Eigene“, pubblicata tra il 1896 il 1931.
Per gli ebrei, sionisti e assimilazionisti, l’ideale di virilità era comunque positivo anche se non utilizzarono mai l’arma del razzismo contro altri per agevolare la propria accettazione in società: è chiaro che per loro era impossibile rivendicare l’appartenenza alla razza ariana, mentre per gli omosessuali, che non avevano mai subito questo tipo di persecuzione, volendolo sarebbe stato più semplice, poiché per loro era possibile considerarsi appartenenti alla razza germanica.
La rivista “Der Eigene” sosteneva la destra nazionalista e addirittura arrivò a condannare la tolleranza dell’epoca weimeriana, quella stessa che aveva permesso il suo sviluppo; Heinrich Himmler non provò particolare gratitudine nei confronti di questo genere di sostenitori.
Tra gli apologeti dell’omosessualità che non utilizzarono il razzismo prevalse comunque un certo dogmatismo maschile.
Il periodo della fin de siècle, che vide questi tentativi di assimilazione degli omosessuali, fu animato anche da una rivolta di scrittori e artisti d’avanguardia che si opponevano alla rispettabilità borghese; nello stesso tempo vi fu la ribellione della generazione più giovane della classe media ma che non fu di così grande portata.
Questa rivolta degli artisti, dediti ad una vita molto sensuale sempre alla ricerca della bellezza, trasformarono la parola decadenza in un distintivo, in un motivo di orgoglio, considerandola il primo passo verso il rovesciamento dei valori sociali; questo movimento offrì ad alcuni omosessuali e lesbiche la possibilità di avere un modello culturale che non negava la loro identità: i decadenti consideravano i rappresentanti di una futura quasi perfetta società dove il culto della virilità sarebbe stato sconosciuto.
L’omosessualità, in questo ambito, connotava un’accentuata sensibilità che era una caratteristica fondamentale del decadentismo; i giovani di questa nuova corrente di fine secolo, chiamata art nouveau o jugendstil, erano più languidi ed effeminati che virili: essi dovevano evitare di diventare vecchi, come ben che testimonia Oscar Wilde
nel famoso “Il ritratto di Dorian Gray“, ma poiché la morte era comunque inevitabile essa doveva diventare l’apice di una vita vissuta completamente nell’esperimento di situazioni nuove ed estreme, stimoli artificiali e sensazioni forti.
La reazione decadente fu limitata soprattutto alla Francia ed Inghilterra; in Germania gli espressionisti e I Buddembrooks di Thomas Mann condivisero alcuni atteggiamenti decadenti ma non vi fu un’esperienza simile a quella degli altri paesi: qui la rivolta giovanile fu contro gli usi e costumi dei genitori e della scuola.
Il movimento giovanile tedesco, nato tra gli studenti di un sobborgo berlinese, nel 1901, si diffuse molto rapidamente; all’inizio era un’associazione che consentiva ai ragazzi di fare gite in campagna senza la sorveglianza degli adulti e di praticare un proprio modo di vita. I suoi appartenenti erano tutti figli delle classi medie e agiate ed anche se erano interessati solo all’avventura e al divertimento, il movimento giovanile si politicizzò e coltivò propositi ben diversi da quelli di una gioventù chiusa in sé: i compagni più anziani e i dirigenti adulti lo presentavano come una ricerca dell’autentico nella natura e nella nazione, un’élite di giovani maschi che avrebbe dato un impulso notevole alla coscienza nazionale tedesca.
I teorici del movimento sostenevano che fosse l’eros maschile l’unico capace di creare uno spirito di cameratismo, cioè quelle cellule da cui si sarebbe rinnovata la nazione: il movimento giovanile era un Männerbund, una comunità di maschi; solo più tardi fu consentito anche alle ragazze di costituire organizzazioni giovanili ma separate.
I capi del movimento, tutti giovani di città, erano impressionati dall’imperturbabilità della natura, anche nei suoi aspetti più aspri, che trasmetteva un’idea di tenacia fisica ed emotiva al movimento, cosa che consolidava l’ideale di virilità e di bellezza fisica; l’importanza attribuita all’istinto legittimò in questi giovani un genuino piacere del contatto fisico.
Il loro ideale tedesco di virilità consisteva nel praticare l’autocontrollo, tenere sempre allenato il corpo con lo sport e le competizioni, essere cavalieri con le ragazze, nell’astinenza sessuale, che era il dono più grande che la natura potesse fare all’uomo al culmine della sua vita.
I seguaci di questo movimento opponevano i loro ideali, ritenuti autentici, alla presunta artificiosità della vita borghese; essi aspiravano al benessere fisico e morale attraverso una loro volontaria e compatta comunità e grazie al nazionalismo che forniva loro le proprie radici: cameratismo naturalismo e nazione, questi i paradigmi del loro pensiero.
Nonostante avessero vedute poste decadenti e il movimento giovanile tedesco parteciparono alla generale riscoperta del corpo che caratterizzò la fine del XIX secolo: entrambi sfidarono la rispettabilità borghese ed il senso di vergogna e di riservatezza di cui ammantava il corpo.
Questa riscoperta una sfida più acuta che fu mossa alla rispettabilità da un secolo a questa parte; sedi i decadenti erano comunque degli emarginati, a preoccupare erano i giovani che sarebbero divenuti la futura classe dirigente, essi infatti riscoprirono il corpo in nome della vera virilità, recuperando la nudità delle statue greche con tutti i pericoli dell’omoerotismo a queste collegato, e indebolendo quindi la netta differenza tra normalità e anormalità; se questa differenza sopravvisse, tuttavia l’indebolimento fu irreversibile.