Gollum, come Paperon de Paperoni.
Entrambi follemente innamorati del loro tesoro.
Entrambi totalmente succubi del loro tesoro.
Quale tesoro domina il cuore di questi due famosi personaggi?
Paperone è assolutamente attaccato all’idea di possesso del denaro, quello l’unico scopo cui tutto viene sacrificato: giustamente l’avaro è considerato un poveraccio poichè di nulla gode e l’accumulare non è fonte di soddisfazione quanto, piuttosto, lenitivo dell’angoscia; l’unica certezza è il possesso, non vi è pensiero di ricchezza ma solo di accumulo, sterile.
Gollum mi pare decisamente più complesso perchè il suo confronto è col Potere: l’unico anello è il Potere, il tessssssoro, bramato, inseguito, adorato ma … ma chi possiede veramente chi? Il vero dominatore è l’anello, è questo che si è impossessato della mente di Gollum, l’ha schiavizzata, ne è divenuto l’idolo, l’idea fissa.
L’idea di avere il Potere è un’idea schiavistica, illusoriamente proiettata sugli altri, ma di cui si pagano per primi le conseguenze, proprio in termini di sudditanza perchè nessuno può possedere l’idea, ma soltanto esserne posseduto.
Tutto diventa secondario, ogni cosa sacrificabile e sacrificata, il tempo stesso si trasforma in infinito, non vi è storia ma eternità: l’eterno incatenamento alla rupe di Prometeo.
Nel pensiero di Tolkien c’è l’idea che il Potere non è maneggiabile senza danni, prolunga la vita ma questa è fissata nella ripetizione e nell’inconcludenza che è mancanza di conclusione: nulla trova compimento.
L’unico anello è inutilizzabile e tuttavia non è archiviabile, non si può chiudere nel dimenticatoio del caveau di una banca, farà di tutto per tornarsene fuori, facendola pagare cara; l’anello può essere vinto soltanto non utilizzandolo e distruggendolo.
Non mi sembra casuale che a concorrere alla sua distruzione sia chiamato un Hobbit, un mezzo uomo, debole più di ogni altra creatura: la distruzione non è opera di supereroi, palestrati del corpo o dello spirito.
Mi torna l’idea dell’uomo come Costituzione: la costituzione o è universale o non è e non esistono confini se non nei limiti angusti di un provincialismo che vede nei confini dei limiti da superare con le imprese dei supereroi (titanico sforzo della volontà).
Nessuno è immune dalla tentazione, non vi sono zone franche; ciascuno porrà la sua Costituzione facendo i conti con la tentazione del Potere.
Interessantissima la fine dell’anello: lo hobbit che l’ha utilizzato (sia Bilbo che Frodo) ne è stato, anche se in parte, schiavizzato, non se ne libererà da solo, non ne è capace; la liberazione dal Padrone è vista come una perdita, un pericolo da evitare a tutti i costi.
Soltanto grazie ad un intervento esterno, ancora Gollum, visto come ostile e doloroso, sarà possibile, finalmente liberarsene; resterà una ferita perchè la traccia del peccato non è eliminabile (i santi non dimenticheranno i loro peccati, non avranno il fardello della colpa ovvero i peccati non saranno più banali – materiale di risulta inutilizzabile – ma occasioni di giudizio e di crescita).
Ritorna l’idea del guastatragedie, di cui ho parlato tempo fa.
Il contrario di ciò che è Grima Vermilinguo, colui che sa vendere bene il tessssssoro (nelle varie forme che assume), ottundendo il giudizio che si farà complice: “tu non sei capace, lascia che altri, che ti vuole bene, che ti ama, porti il fardello di pensare, giudicare, lavorare…”
In tutto questo c’è pure il rapporto tra professore, maestro, docente e l’alunno, discepolo, scolaro: rapporto gerarchico tra chi detiene il Sapere (altra forma del Potere) e chi ne è privo.
Non ci si salva da soli, non c’è autocorrezione del pensiero; mi tornano, come spesso mi accade, le parole del Salmo 120 “da dove mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore”.
A Gabriele Trivelloni, cui debbo tantissimo.