“La felicità sta soltanto nella morte sacrificale”

“La felicità sta soltanto nella morte sacrificale”: Karl Theodor Koerner.

Continua la sintesi del bellissimo libro di George L. Mosse “Le guerre mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti”.

La battaglia di Langemark, uno dei primi scontri della Grande Guerra, venne mitizzata anche se fu di nessun valore, e trasformata in un’epica battaglia in cui le giovani fronti dei soldati tedeschi andavano cantando al sacrificio per la patria.

In questa battaglia riemerse il mito dell’educazione bellica alla virilità; qui i ragazzi diventarono uomini e come gli eroi greci che andarono ad adornare tanti monumenti ai caduti.

Anche il numero, altissimo, di morti contribuì alla nascita della leggenda e fornì l’ispirazione per una nuova e più forte Germania (che si fondava sui morti e non sui vivi) in cui giovinezza (come simbolo di virilità e forza) e morte (trasfigurata in sacrificio e risurrezione) erano connesse inscindibilmente: la statua del giovane Sigfrido adornò tanti monumenti ai caduti.

Sigfrido divenne un giovane Apollo e simboleggiò l’intera nazione a sua volta giovane eternamente; è la gioventù che rappresenta la nazione e a Langemark essa diventò  un nucleo a sé stante, separato dal resto e come tale continuò a concepirsi anche dopo la guerra, grazie al vincolo del cameratismo.

La giovinezza venne esaltata dalle guerre, a scapito dell’età avanzata, ed i giovani poterono essere equiparati agli eroi greci, grazie all’armonia dei corpi e all’equilibrio nell’uso della forza (controllata perché asservita ad un ideale); tanto poté questo ideale greco che comparvero statue di gladiatori con mitra ed elmetto, come a riassorbire anche la modernità delle armi, negli ideali di eroismo classico.

Maggior influenza, ebbe, tuttavia il cristianesimo che offriva la possibilità di trascendere la morte, ma fu un cristianesimo intimizzato e da devozione popolare, non quello della teologia; già in passato le guerre di liberazione erano state paragonate con una nuova Pasqua; agli inizi della Grande Guerra, Walter Flex paragona questo evento con l’Ultima Cena: Cristo si rivela in guerra e tramite questa illumina il mondo.

L’iconografia bellica rappresenta il rapporto specialissimo tra il soldato caduto e Cristo stesso, pensiero che condizionò la struttura di moltissimi cimiteri di guerra: attraverso i caduti la nazione fu associata alla Passione di Gesù e talvolta la vita di Cristo si proiettò su quella della nazione.

Le trincee trasmettevano l’idea che la sofferenza è purificatrice ma questa purificazione era funzionale alla continuazione della missione bellica.

Anche il Natale di guerra, festeggiato particolarmente nel 1914 cosa che fece intervenire tutti gli stati maggiori per impedirne la ripetizione, fu trasformato in sostegno alla guerra: i morti non rappresentavano la pace eterna ma il gioioso sacrificio e la sofferenza, oltre a purificare, fortificava, indurendo gli individui perché giungessero alla meta finale.

La teologia della guerra consolidata era quella in base alla quale il servizio dell’uomo fedele alla propria famiglia, alla patria ed al monarca, in guerra, faceva ipso facto la volontà di Dio; questo aiutò anche a mantenere viva la memoria e ad esortare i giovani dell’età postbellica a ricercare medesima gloria.

Il cristianesimo, comunque, fornì soprattutto l’aiuto a superare la paura della morte: l’attesa di una vita eterna e piena superava l’idea della morte e si proiettava anche nella vita  quotidiana, permettendo, dopo la guerra,  di vincere il senso di perdita dei compagni caduti e a forgiare una nuova solidarietà.

Fu il periodo successivo al crollo della Germania che il mito dell’Esperienza della Guerra svolse la sua funzione rigeneratrice ed i morti ottennero veramente una nuova vita. Essi hanno il compito di far risorgere il Volk, sia secondo i polemisti di destra che per gli ideologi della repubblica di Weimar.

 I caduti adempivano a questo compito rigeneratore non in quanto singoli ma come comunità di commilitoni; i singoli non erano considerati come tali ed, in effetti, le distinzioni sulle lapidi nei cimiteri di guerra, erano a uso e consumo dei famigliari, e non per valorizzare le singole individualità.

Il legame  tra vivi e defunti era dato dalla fede nella Germania: i morti diventarono gli eroi tedeschi ed i loro luoghi di riposo, i cimiteri di guerra, divennero templi del nuovo culto nazionale: l’attenzione della nazione era riservata ai monumenti ai caduti che potevano così costituire quei simboli che la gente poteva percepire come viventi.

Da qui l’importanza dei cimiteri di guerra come luogo privilegiato per il culto del caduto in guerra.

I nuovi cimiteri giardini ebbero un’architettura che mirava a trasformarli in una sorta di templi panteisti dedicati alla contemplazione della virtù; la morte sembrava scomparire per cedere il posto allo scopo dominante: educare ad una vita retta e disciplinata dalla morale.

La particolarità della Grande Guerra, la lunga durata ed il numero di morti, fece sì che venissero individuati luoghi ove custodire le spoglie dei caduti; dall’inizio del conflitto vennero costituite unità col compito di registrare le tombe individuali ed i nomi dei caduti; anche le tombe isolate vennero riunite in cimiteri separati, accuditi da particolari unità speciali dell’esercito.

I cimiteri di guerra vennero costruiti principalmente al termine del conflitto ed in base a lavori di progettazione e gestione di apposite organizzazioni: in Inghilterra la War Graves Commission (commissione che aveva competenza esclusiva nella progettazione dei cimiteri); in Francia se ne occupò il segretario di stato per i reduci dal fronte e le vittime della guerra; in Germania ed Austria, sconfitte e senza denaro, furono, invece, associazioni private a svolgere questo compito: in Austria “la Croce Nera”, in Germania il “Volksbund Deutsche Kriegsgräberfürsorge”.

Per i tedeschi, in realtà, il compito era limitato dal fatto che i caduti erano in maggioranza in terra straniera ed il trattato di Versailles imponeva agli stati di prendersi cura dei caduti nel proprio territorio; la progettazione dei cimiteri, tuttavia, fu lasciata alle nazioni cui i defunti appartenevano.

I cimiteri di guerra si assomigliavano tutti: i primi a progettarli furono gli inglesi, che di fatto imposero il tipo a tutta Europa, anche se con alcune varianti.

I cimiteri britannici avevano al centro la Pietra della Rimembranza e la Croce del Sacrificio, spesso sovrastata da una spada sguainata di simbolismo indeterminato: la Pietra della Rimembranza era massiccia e solida, tagliata in guisa di altare (con incise le parole di Kipling “Il loro nome vive per l’eternità”); essa rimandava, come la Croce del Sacrificio, a simboli cristiani anche se era stata concepita come un simbolo panteista; era ammessa, come unica variante, al posto della pietra, una Cappella della Risurrezione contenente un libro col nome di tutti i caduti.

Si sottolineava il collegamento tra i caduti ed il sacrificio cristiano, in vista della risurrezione: tombe e lapidi erano uniformi, anche se fu permesso, a seguito di reiterate richieste, inserire un’iscrizione individuale scelta dai famigliari; per le lapidi inglesi si utilizzava materiale locale e, dove possibile, fiori ed arbusti tipicamente anglosassoni, tipo il tasso (che faceva riferimento ai cimiteri delle chiese di campagna).

Il rimando alla campagna richiama l’idea dell’immutabilità della natura, fuori dal tempo e lontana dal periodo dell’industrializzazione: simboli cristiani, natura incontaminata e lapidi uniformi (che rimandavano al cameratismo) accomunarono tutti i cimiteri, anche se la Germania apportò alcune variazioni: la pietra del sacrificio non ebbe posizione centrale, non furono ammessi iscrizioni personali, la lapide fu sostituta spesso da croci di ferro o pietre.

Le croci rimandavano alle croci di ferro che, come simbolo, risaliva alle guerre di liberazione ed era, ancora, la massima onorificenza di guerra: stile sobrio e ascetico (fu ad esempio vietato piantare fiori) che esaltava soprattutto lo spirito del cameratismo.

Per certa cultura tedesca i cimiteri tedeschi non travestivano la tragicità della morte con fiori multicolori; al contrario la affrontavano, considerando il tragico come un’acquisizione della cultura, mentre la mera civiltà si sforzava di ignorarlo: veniva sottolineato il carattere nazionale dei caduti rispetto alle singole individualità; si costruirono le Totenburgen, fortezze dei morti, luogo di sepoltura prediletto da Hitler (l’ultima fu edificata a El Alamein nel 1959).

Visibili da lontano, sembravano imponenti fortezze, al cui interno i morti erano sepolti in una fossa centrale comune, sotto una roccia  o altare patriottico, mentre i nomi dei caduti erano iscritti sulle pareti: veniva esaltato il senso di predominio della nazione ed infatti rimandava alle Trutzburgen medioevali, fortezze che erano, insieme rifugio e base di partenza per gli attacchi ai nemici. Tutte le nazioni collocarono i cimiteri all’interno dei tipici ambienti nazionali ma in nessuno come in Germania la natura ebbe importanza in rapporto al nazionalismo.

In Germania, non casualmente, era nato il Movimento Giovanile che, insieme ad altri movimenti che propugnavano il ritorno alla natura (peraltro tipici di tutti i paesi), era politicizzato e vicino agli ideali nazionalisti: la natura tedesca, con il suo eterno tornare giovane, era da sé sola sufficiente ad esprimere lo spirito della nazione: l’unica forma di commemorazione dei defunti, in Germania, fu il Heldenhain, Bosco degli Eroi, non monumento di guerra ma cimitero surrogato in cui le tombe erano sostituite dagli alberi ed il tutto era isolato dal resto dell’ambiente.

La quercia era il simbolo adatto a rappresentare ogni caduto, albero già usato fin dalle guerre di liberazione come simbolo tipicamente germanico.

La natura, nei cimiteri di guerra, rappresentava, l’eterno susseguirsi delle stagioni e quindi la rinascita dei martiri, così come a ogni inverno segue la primavera; pietre e massi rappresentavano la forza primeva (urkraft), e a differenza delle pietre della rimembranza inglesi, non erano scolpite e non avevano valenza religiosa.

Ancora una volta era esaltata la natura primeva contro la modernità; in Germania ed Italia ebbero particolare successo i parchi della rimembranza (ove non erano sepolti i caduti), ma in ogni caso il messaggio era comune a tutte le forme di gestione del culto dei caduti: i morti avrebbero avuto il compito di ispirare i vivi e ricordare che la nazione è forte ed immutabile.

Emblematicamente la nazione fu raffigurata da simboli preindustriali con una netta opposizione alla produzione di massa di oggetti legati ai monumenti; in Germania, in effetti, con l’invenzione della galvanoplastica si era diffuso un mercato di prodotti industriali specifico per i cimiteri, che, però, erano visti come privi di rispetto per il singolo defunto.

Il sacro culto dei caduti doveva essere preservato dalla banalizzazione della produzione industriale massificata e lo spirito della nazione rappresentato dal lavoro artigianale e dai riferimenti alla società preindustriale, ovvero l’eterna natura incontaminata.

Se i caduti della guerra franco prussiana erano stati sepolti casualmente, in fosse comuni nel cimitero della cittadina più vicina allo scontro, con la Grande Guerra iniziò la distinzione delle sepolture ed i luoghi di riposo dei caduti in guerra diventarono sacri, templi della nuova religione nazionale e mete di pellegrinaggio.

Nonostante l’uniformità dei simboli, lo spirito nazionalistico postbellico fece sì che nella quasi totalità dei casi, i morti venissero separati per nazionalità, in particolare ad opera dei francesi che avevano subito la penetrazione maggiore; ne fu un esempio il cimitero di Verdun con le ossa francesi nell’ossario, visibili da un vetro e quelle presunte tedesche semplicemente seppellite.

La dispersione dei cimiteri militari, sia all’estero che in patria, li rendeva poco adeguati a svolgere la funzione di luoghi di culto, sebbene ciascuno fungesse da tempio nazionale; serviva un luogo dove le folle potessero riunirsi per celebrare le feste ricorrenti in memoria: questo luogo fu individuato nel monumento al milite ignoto. Ogni paese ne possedeva uno ma Francia ed Inghilterra li utilizzarono come luogo di culto nazionale.

Il milite ignoto, con tutta la cultualità simbolica che lo accompagnava, nacque simultaneamente in Francia ed Inghilterra; in Francia venne scelto l’Arc de Triomphe, costruito da Napoleone per onorare i morti delle sue campagne, e sul quale, successivamente, furono iscritti i nomi dei generali.

L’Inghilterra seppellì il milite ignoto nell’abbazia di Westminster, ma costruì anche un Cenotafio per permettere le pubbliche adunanze di commemorazione (nell’epoca della politica di massa anche i monumenti hanno la funzione di catalizzare l’attenzione e l’entusiasmo popolari).

La scelta della salma da inumare nel monumento fu abbastanza simile in tutti i paesi anche se la centralità del monumento al milite ignoto fu tipica soltanto di Francia e Inghilterra.

In Italia, come in tutti i paesi, il luogo scelto era adatto a grandi raduni ma, nel caso specifico, il monumento di fatto scomparve nella grandiosità del complesso del Vittoriano.

In Germania, i contrasti regionali rinviarono la costruzione del monumento fino a che la Prussia decise di edificare la Neue Wache, un cenotafio, nel centro di Berlino, che venne utilizzato successivamente anche dai nazisti ma che non riuscì mai ad assurgere a vero luogo di culto; in Germania il culto fu diffuso a vari monumenti e numerose cerimonie.

Sembra essere frutto del caso che i paesi protestanti Inghilterra e Germania) avessero un cenotafio, mentre quelli cattolici, una tomba piena.

I monumenti ai caduti, e non le singole tombe, costituirono il punto focale delle celebrazioni e del culto dei morti.

Agli inizi, tuttavia, essi riportavano solo i nomi degli ufficiali, mentre i soldati erano semplici numeri; la situazione cambiò a partire dal decennio 1860/1870, per arrivare alla Grande Guerra quando venne onorato ogni singolo soldato (cui furono riservate anche tombe individuali, come non avveniva in precedenza): prese avvio un processo di democratizzazione della memoria dei caduti dovuto alla nascita degli eserciti di coscritti e allo spirito dei volontari.

 Il mito dell’esperienza della guerra era un mito democratico (esiste un mito aristocratico, mi chiedo io?), fondato sull’idea di nazione, simboleggiata dai morti in guerra; in questo modo i soldati di prima linea potevano trascendere l’incontro con la morte ed il terrore della guerra.

Non a caso, dopo la guerra, le associazioni di reduci non si divisero in base al grado (ufficiali e soldati) ma all’avere prestato servizio in prima linea o meno.

Dopo il conflitto sorsero dibattiti sull’utilizzo di spazi circostanti ai monumenti ai caduti, cioè se questi dovessero servire anche per bisogni concreti dei vivi; in Europa la questione non trovò una soluzione, anzi le discussioni sulla rumorosità dei siti sede di cerimonie era percepita come un disturbo della quiete (ancora una volta un elemento preindustriale) del luogo sacro.

In America, al contrario, i monumenti ai caduti assunsero, subito dopo la guerra, forma di centri culturali ma anche sedi di congressi o sedi sportive. Il conflitto tra sacro e profano si ripropose sotto la veste di scontro tra funzionalità e sacralità.

La sacralità, in questo caso, fu garantita da immutabilità e unicità (appunto come detto prima, contro le produzioni di massa); non si ebbe, però, il rifiuto della tecnologia moderna a sua volta sottomessa all’ideale patriottico.

La nazione, seppure identificata col mondo preindustriale, utilizzò la tecnologia che, perciò stesso, venne spiritualizzata: nacquero le descrizioni medioevali delle nuove tecnologie ( ad esempio i cavalieri del cielo).

Anche la modernità industriale potè assumere forme poetiche al servizio del culto; nei monumenti ai caduti (mentre ciò non avveniva nei cimiteri militari e nella tomba del milite ignoto) furono spesso mescolate rappresentazioni medioevali con elmetti metallici, fucili: questo accadde in Germania fino alla Grande Guerra, dopo di che, invece, ebbero prevalenza le spade, probabilmente lo strumento più adatto a rappresentare la singolar tenzone e quindi lo scontro davvero eroico col nemico e, nello stesso tempo, un modo per allontanare lo spettro della morte incombente.

L’elemento realistico, nei monumenti ai caduti tedeschi, venne dato dalla divisa da campo, quasi mai, invece, da figure di soldati feriti; questi al contrario rappresentarono pressoché ovunque gli ideali di giovinezza, sacrifico, virilità e cameratismo, varie volte rappresentati nudi in omaggio ai modelli classici.

L’atteggiamento, comunque, fu solitamente conservatore: il culto dei caduti non amava alcuna innovazione, proprio come la rasserenante sicurezza che offrono i riti religiosi e le liturgie consolidate nel tempo.

La struttura dei monumenti tedeschi non fu dissimile a quella dei monumenti italiani, anche se per questi la nudità, ad esempio, era un patrimonio storico normale; in Italia, invece, comparve frequentemente la raffigurazione del soldato morente.

I temi classici furono presenti anche in tutti gli altri paesi europei anche se i giovani non vennero rappresentati né seminudi né in pose aggressive, in Francia, addirittura, furono rarissime le rappresentazioni umane e comparve, invece, anche qualche monumento antibellicista.

A prescindere da alcune differenze, il culto dei caduti (che doveva esprimere la famigliarità  del virile soldato) fu cristiano e classico ed il suo scopo fu comune a tutti i paesi: i caduti erano destinati a levarsi dalle tombe per compiere miracoli in una sorta di autorappresentazione della nazione. In Germania questo aspetto fu maggiormente evidente per via della sconfitta ed in esso vi fu un elemento di brutalità (ad esempio i volti dei draghi) assente altrove e che accentuò il processo di brutalizzazione della politica. I nazisti, non a caso, misero il culto dei caduti e dei propri martiri, come centrale della liturgia politica.

Nonostante questo culto fosse diffusissimo poiché ogni famiglia poteva ricordare un caduto, fu soltanto la destra che seppe appropriarsene utilmente, perché con esso fu possibile trascendere l’orrore della guerra che aveva causato immani sofferenze a milioni di persone e, in contemporanea, permise l’esistenza  di un’utopia che il nazionalismo tedesco fu capace di proporre come alternativa ad un cupo dopo guerra.

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