Domenica pomeriggio, 15 febbraio, trascorsa in lieta compagnia, una delle consolazioni che spesso allieta la mia grigia esistenza: ospite degli amici Gabriele e Silvia.
Ci siamo guardati un DVD, un film datato, ormai quasi decenne, ma che vale la pena di vedere. Si tratta di “As you like it”, “Come vi piace”, magnifica commedia del Bardo, magistralmente trasformata in film da quel regista e attore cui dichiaro da subito il mio “amore”: è un regista ed attore straordinario, fantastico, Kenneth Branagh.
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La trama è nota mentre l’ambientazione, che sembra essere una enclave giapponese del diciannovesimo secolo, all’inizio mi sconcerta salvo, poi, rivelarsi azzeccata perchè, a mio giudizio, è un modo per dire che la vicenda riguarda il mondo intero, nessuno ne è escluso.
Due cose mi hanno colpito: si parla di politica e di amore, tema ricorrente in Shakespeare; dove va male l’amore ne seguono disastri politici e viceversa.
Così accade in Amleto, Otello, Macbeth, la Tempesta, Romeo e Giulietta per non dilungarmi: il rapporto amoroso è sempre sociale e con una valenza politica, non è mai quella massa a due, chiusa nella fissazione, degli innamorati.
E vengo alla seconda questione: tutti i rapporti d’amore sono “formali”, mai spontanei cioè immediati; ogni dialogo mostra la presenza di intelletti che si confrontano e stuzzicano a vicenda: non vi è sudditanza, neanche quando una delle protagoniste parla male del proprio sesso.
L’opera mostra una chiara derivazione da “La Bisbetica domata” per quanto riguarda il tema delle follie degli “innamorati” e la sua soluzione.
Anche ne “La Bisbetica domata” non vi è sudditanza poichè “Caterina, diversamente dalle altre “bisbeticamente” fissate ai termini del contratto civile, riconosce al suo sposo l’uso continuato (usufrutto) di lei come titolo fruttifero (nel caso particolare lasciandosi convocare), potestas senza violenza quantunque legalizzata.”
La citazione è presa da un post di Giacomo Contri intitolato: “Ho sposato“.
Titolo fruttifero sta a dire che vi è convenienza nel rapporto, cioè economia e diritto, legittimità e ricchezza.
Da tempo insisto con alcuni amici che i loro matrimoni sarebbero da sottoporre al vaglio del criterio “ricchezza”.
Riprendo ancora Giacomo Contri che in merito è straordinariamente efficace: da tempo propaganda la cartina di tornasole dei matrimoni: dopo sei mesi / un anno di matrimonio i coniugi sono più belli, più curati, più ricchi (di pensieri, amicizie, affari, conoscenze, idee, occasioni…)?
Nel caso degli amici cui mi riferisco (non ne faccio il nome per correttezza) il bilancio sarebbe drammaticamente semplice.
Formulare un tale giudizio, tuttavia, avrebbe ripercussioni tali da far prendere atto che il matrimonio ove mai si fosse celebrato regolarmente, è terminato e da gran tempo, con tutte le implicazioni del caso.
Ma servirebbe un atto di coraggio, che è un atto del pensiero, non dei muscoli: coraggio di chiamare le cose (le azioni) col loro nome.
Potrebbe essere un inizio per por fine alla “guerra dei sessi”, ma anche alla guerra civile e quella famigliare, tute implicate nelle commedie, come avviene ne “La bisbetica domata”, ma anche in “Come vi piace” in cui, non a caso, il duca spodestato non si mette a far la guerra al fratello usurpatore, come neppure Orlando nei confronti del fratello Oliviero, nè le cugine, eredi del ducato, tra loro al volgere delle fortune dell’una e dell’altra.
Mi permetto di consigliare gli amici, invitandoli a leggere le opere di Shakespeare, altro che corsi prematrimoniali o manuali demenziali sui rapporti di coppia.