Inizio con un evergreen: Io c’ero.
Dove mai sarò andato in un’uggiosa serata di inizio novembre e precisamente il 6 novembre alle 18.00?
Ad un evento importante: la presentazione e vendita del libro di Francesco Gallina, “De perfectione”, presso Astoria Residence Hotel Parma: occasione di solidarietà perchè Francesco ha deciso di donare buona parte del ricavato ad un’associazione di aiuto agli alluvionati del quartiere Montanara e l’hotel lo ha sponsorizzato, ospitato ed ha pure offerto il buffet.
Un plauso, quindi, ai responsabili dell’hotel, che hanno fatto una scelta intelligente che ha tutto il mio apprezzamento.
Vengo al giovane autore: ho avuto l’onore di conoscerlo personalmente e questo mi ha molto emozionato.
Per un vecchio barbogio un po’ (molto) snob come il sottoscritto leggere un’opera contemporanea è già una concessione enorme, apprezzarla poi è un’eventualità da puntarci al lotto ed infine conoscerne pure l’autore… ebbene questa concatenazione di eventi fuori del comune mi è successa, nell’ultimo anno, per ben due volte: ho iniziato con Matteo Nucci (che non ho conosciuto di persona però) ed ora Francesco Gallina.
Se ci aggiungo che ho avuto modo di conoscere anche una deliziosa collega di Gabriele, di cui non faccio il nome per rispetto della privacy (non so se apprezzerebbe che si sappia dov’era ) persona oltremodo squisita e di grande acume… l’unico neo della cosa è stata la brevità perchè avrei gustato ancora per un bel po’ la compagnia di persone così gradevoli.
Ma vengo al protagonista, al quale non farò i complimenti perchè già li ho fatti in post precedenti: ho molto apprezzato la sua presentazione e tanto basti, chi non c’era s’è perso un’occasione.
Francesco immagina di fare il professore, lo ha detto pubblicamente, il che mi autorizza a esplicitare quel che da tempo pensavo: Giona Alighieri ha molto di Francesco.
La sua intelligenza, acuta, unita ad un’erudizione rara tra i giovanotti, ha saputo rivelare, celandolo, quel bivio di fronte al quale si trova.
Se guardo al futuro, lo stesso Francesco diceva che ormai “De perfectione” a due anni dall’uscita è editorialmente vecchio, considerando che il mondo editoriale è popolato di squali nè più nè meno che gli oceani (e manco sono a rischio estinzione, anzi) penso che il peggior pericolo di Francesco sia rappresentato dallo specchio (guarda caso nel romanzo anche gli specchi hanno una buona parte).
Credo che la sua tentazione possa essere proprio questa: considerare l’opera letteraria come un’immagine speculare di sè, tramite per ottenere l’approvazione, cioè l’amore del pubblico.
La creazione letteraria come è stato per me panciutello, tempo fa: una sorta di supplica d’amore basato su una (o più) peculiarità ritenuta individualizzante e meritevole.
Con l’effetto collaterale che, non esistendo l’amore cercato, non vi sarà mai soddisfazione ma soltanto un’angosciosa rincorsa di un irraggiungibile ideale.
L’alternativa è il pensiero del frutto: in questo modo l’opera d’arte diventa offerta di partnership, cioè di lavoro.
Passaggio di civiltà perchè traghetta dalla contemplazione del “che genio! come sei bravo!…”, sterile ed in fondo invidiosa, all’idea del guadagno, cioè l’idea che c’è qualcuno che mette a disposizione un capitale sfruttabile ed anzi meglio fruttabile.
La contemplazione è omicida (fa fuori il pensiero del follower), il lavoro è produttivo e ci sono partner.
Francesco cita nel libro Caterina Campodonico; anche oggi vi ha fatto riferimento facendomi venir voglia di capir meglio chi fosse questa genovese che riposa nel cimitero monumentale di Staglieno, all’ombra di una famosissima statua.
Mi sono documentato velocemente ed ho scoperto che questa signora, venditrice di ciambelle e collane di nocciole, si era risparmiata una fortuna; la donna ha avuto una vita sentimentale triste, con un marito presto lasciato (e lautamente indennizzato) perchè ubriacone e nullafacente e dei parenti interessati soltanto ad ereditare.
In questa situazione non certamente gradevole Caterina Campodonico cosa pensa di fare? Investe i suoi denari per una statua, una statua funebre ed una tomba al cimitero monumentale.
In questa donna non c’è idea di eredità: immagino che sotto le eufemistiche definizioni di vita parsimoniosa che descrivono il suo stile, vi fosse una vita abbastanza misera, tutta volta al risparmio del denaro, custodito per…la statua.
Una sorta di rivalsa verso la società, vendetta verso i parenti e ricerca di un’immortalità fasulla: la statua ha rappresentato l’orizzonte, l’ideale ed in fondo il feticcio di Caterina.
Francesco, secondo me, ha ben presente questo bivio.
Oggi citando il nome della sua creatura, Giona Alighieri, faceva riferimento al profeta Giona, che ha trascorso tre giorni nel ventre del pesce, dicendolo l’antenato di Pinocchio.
Il che è vero per la massa (e anche questo Francesco lo sa bene), ma Giona e Pinocchio differiscono profondamente: le disavventure del burattino nascono dal non ascoltare la coscienza (il grillo parlante, cioè il superio, che non muore mai), quelle di Giona dal sottrarsi al rapporto col Signore. Pinocchio deve diventare un adulto responsabile secondo la logica borghese del tempo, cioè rinunciare alle pulsioni; Giona, invece, si trasforma nel grillo parlante della città di Ninive, almeno vorrebbe esserlo.
Egli ne invoca, infatti, una dura punizione, che al Signore, fortunatamente, non interessa affatto perchè a lui non interessa bastonare degli schiavi, ma richiamare dei peccatori alla convenienza del rapporto con lui stesso.
Francesco ha risolto da tempo la questione Pinocchio, non ancora quella di Giona.