Approfitto di un piatto offerto da Giacomo Contri e precisamente il blog di ieri, 30 aprile, intitolato “vita da cuoco”.
Mi piace moltissimo la figura del cuoco, anche a me piace cucinare anche se ormai non lo faccio quasi più, non apprezzando mia madre di avere ospiti per casa (è l’unico cruccio del mio convivere con lei).
Il cuoco ha attenzione per le materie prime, di qualunque genere, senza limitazioni a priori, passa tranquillamente da carne, pesce, legumi, crostacei, molluschi, verdure, frutta, cereali, funghi ed approfitta di quello che eventualmente altri hanno già sperimentato e consolidato.
Può sperimentare idee nuove o mantenersi nel solco della tradizione, che in questo caso è una buona ripetizione; il suo lavoro è pensato per un altro ma in vista di un guadagno proprio.
Il cuoco, insomma, mi sembra possa essere esempio di virtù, come i più famosi investitori della parabola dei talenti.
Virtù diffusiva di sè perchè il cliente del cuoco sarà tale se avrà gusto, cioè cura del proprio mangiare, in caso contrario si ripeterà la vicenda delle perle e dei porci.
Aggiungo che, non esistendo l’albo dei cuochi, non c’è nessuna autorità che possa dare la patente di cuoco: può fare il cuoco chiunque abbia acquisito le abilità utili per farlo, a prescindere da percorsi predeterminati o scolastici.
Possono esserci anche dei pessimi cuochi ma questo giudizio spetta ai clienti.
In questi giorni, anche oggi seppure di sfuggita, parlando con amici, mi venivano raccontate delle vicissitudini famigliari travagliate che unirei sotto il comune adagio “è la solita minestra”.
Storie di fallimenti, nel caso più grave con rottura definitiva, o di insoddisfazione (“mia moglie la domenica mattina, quando siamo a casa assieme e posso farle delle profferte amorose, preferisce dormire”).
La solita minestra ovvero nessuno fa più il cuoco e si compra magari la scatoletta al supermercato: fuor di metafora, si rinuncia al lavoro di scelta degli ingredienti, al lavoro di preparazione di sempre nuove pietanze, al gusto, alla cura di sè e del rapporto con l’altro.
Non è un caso che entrambe le case siano deserte, non frequentate se non dagli stretti famigliari, abituati, o meglio rassegnati alla solita minestra.
L’idea del cuoco, a portata di mano di chiunque, può essere una buona occasione per un pensiero stanco e rassegnato o che non si sente in grado di affrontare temi ritenuti accessibili solo agli intellettuali.