Carnevale mi ricorda due episodi: il primo risale all’ultimo anno del liceo quando assieme ad un compagno di classe, di quelli che non ricordo con particolare piacere, andai a Venezia al famoso carnevale.
In treno, conoscemmo alcune ragazze di Imola, una delle quali omonima di mia madre e con cui sono rimasto in corrispondenza per un po’ di tempo, forse ci siamo anche rivisti a Bologna. Tempo fa ho anche ritrovato le lettere che ci scambiammo, non ricordo tuttavia che fine gli ho destinato anche se propendo per un accogliente e capiente contenitore per il riciclo della carta.
Il secondo risale a poco tempo dopo, al massimo un paio d’anni; frequentavo allora la parrocchia delle Stimmate, nel quartiere Montanara; qualche amica aveva organizzato una festicciola di carnevale nei locali parrocchiali ed aveva insistito perchè anch’io partecipassi.
Non avevo un vestito adatto ma le mie amiche provvidero ad utilizzare un lenzuolo arancione che trasformarono in un sari; un cerchio del medesimo colore mi venne dipinto in fronte ed eccomi trasformato in una splendida ragazza dal fascino esotico. Credo esista da qualche parte anche una foto dell’evento.
Dopo allora mi sono sempre guardato dal partecipare a simili eventi: il carnevale è sempre stato una di quelle feste insignificanti che mai mi hanno interessato. Mi sono concesso una deroga quest’anno, accettando l’invito della sempre ottima Elisa.
Sebbene il momento non sia dei migliori, essendo tornato in ballo anche il possibile avvicinamento a casa, ho accettato di buon grado, senza però condiscendere all’idea di travestirmi.
Venerdì sera c’è dunque stato il ritrovo, in un locale poco fuori Modena; buona la compagnia (anche se mancavano un paio di carissimi colleghi) ed il clima generale; qualche delusione la torta fritta, che considerato che eravamo a Modena, suona quasi come una bestemmia, un po’ troppo rumoroso il salone, ma i colleghi hanno supplito a tutto con una buona disposizione d’animo.
Le donne erano tutte travestite, con orientamento verso il sexy piccante, ma il vero mattatore della serata è stato un mitico Claudio C., che mi ha letteralmente lasciato a bocca spalancata, comparendo travestito da brutta, ma veramente brutta, donna.
Confesso che non me l’aspettavo anche se ho potuto notare che sa impersonare il ruolo in maniera assolutamente adeguata sia nei gesti sia nella precisione dei dettagli dell’abbigliamento, dagli slip di pizzo rosso, alla giarrettiera del medesimo colore.
Alla richiesta di come mi sarei vestito ho risposto che due erano le possibili sebbene impraticabili preferenze: il cardinale (mia antica passione) o il torero.
Impraticabili perchè mai mi sarei accontentato di un surrogato degli abiti; se avessi dovuto travestirmi l’avrei fatto con la perfezione dei dettagli (dal galero con i fiocchetti allo strascico o al traje de luces), cosa improponibile per i costi. Nel caso del torero anche il fisico non mi avrebbe aiutato.
Resto comunque ostile alla festa del carnevale che oggi più che mai ritengo priva di significato. Ci trovo un sottofondo di angoscia malcelata nel travestimento, cioè nel’idea di impersonare qualcun altro.
Così pure la licenza di ironizzare sui potenti concessa alle maschere è più un ricordo di tempi in cui la censura era presente e potente che non un retaggio di tempi in cui tutto viene ferocemente demolito.
Il carnevale mi ricorda il “godi” dell’imperativo osceno e feroce che ha preso il posto dei tanto vituperati tabù che andavano di moda quando ero un ragazzetto.