Due storie, pur diverse ma parallele.
La prima: a seguito di un paio di telefonate anonime una donna si convince che il marito la tradisce.
Ogni prova che il marito le dà, invece, di fedeltà, viene interpretata contro di lui. Sono un paio di anni, ormai, che vivono da quasi separati in casa.
La seconda: la moglie, sempre indaffaratissima per il lavoro, “schiavizza” il marito che diventa il cuoco, l’addetto alla spesa e ad altre occupazioni quotidiane. Da tempo la donna si concede molto raramente, di sfuggita e, negli anni, ha svuotato casa dagli amici che prima la frequentavano; si rifiuta di uscire da sola col marito per una cena, magari vestita elegantemente (con abito e scarpe regalateli dal marito).
Ve n’è una terza che ho scoperto soltanto ieri: in assenza della moglie, lontana da casa per una decina di giorni, il marito, ormai anziano e di 20 anni più vecchio della moglie, ospita a casa un’altra donna, oltre a fare l’autista per la figlia di questa.
Il tutto all’insaputa della moglie, che però scopre l’accaduto; a fronte di ripetuti dinieghi, minacciato di essere lasciato, decide di confessare, incolpando l’altra di avergli chiesto di tacere.
Storie di tre fallimenti.
Nessuno si è separato legalmente, ma la separazione è ormai in atto e, almeno al momento, senza nessuna possibilità di recupero.
Conosco soltanto una delle tre mogli, delusa dal marito ma intenzionata a non lasciarlo per ora e prendendo atto del fatto che, probabilmente fin da giovane, a quest’uomo una donna soltanto non bastava. Mi faceva anche notare che l’uomo è molto generoso e brillante con gli estranei, mentre coi famigliari è abbastanza gelido e distaccato; lei lo bollava come egoista.
Abitudine, rassegnazione, insoddisfazione, incapacità (per mancanza di pensiero e di lavoro di pensiero) di pensare ad altre soluzioni, questi mi sembrano i connotati delle storie.
Riprendo dal post di Giacomo Contri del 30 gennaio 2014 [http://www.giacomocontri.it/BLOG/2014/2014-01/2014-01-30-BLOG_fedelta_coniugale.htm]:
«La fedeltà coniugale è tutta nella testimonianza che il partner dà del suo partner presso terzi (“terzi” è l’universo caso per caso):
per lo più queste testimonianze sono tradimenti (osservare per credere) ».
Non servono criteri di giudizio astratti, test psicologici più o meno scientifici e nemmeno le rubriche rosa delle riviste femminili.
Non è richiesta altra competenza che il saper guardare ed ascoltare perché la testimonianza è fatta di parole e atti.
Una casa resa deserta dagli amici è una testimonianza sotto gli occhi di tutti ed solo uno dei tanti criteri; un altro è quello dell’appuntamento.
Il non creare più occasioni, il non fissare o andare o sottrarsi agli appuntamenti (non uscire a cena, non andare al cinema, non uscire la domenica, non accettare inviti amorosi…) è un’altra testimonianza.
Nel primo caso la donna si sottrae ad ogni appuntamento col partner, motivandolo con il banale “non mi fido più” e l’ancor più scontato “non ti amo più”; qualsiasi iniziativa l’uomo intraprenda viene rifiutata, a prescindere dal giudizio di gradimento cioè dal piacere che potrebbe ricavarne.
Si chiama divorzio.
Nel secondo caso la donna si è trasformata da partner (sempre che lo sia stata, non ho notizie in merito) a moglie e madre: sotto la coperta protettiva del vincolo giuridico e/o del sacramento si tiene in caldo il … nulla. Dalla parola matrimonio ricava per induzione che vi sia rapporto tra i coniugi.
Anche questo è un divorzio.
L’ultimo caso: 3 mogli, 4 compagne ufficiali di lungo periodo (più una di breve durata) ed il pensiero compulsivo di non poter restare senza una donna.
Tutte donne, tra l’altro (salvo le ultime due sulle quali sospendo il giudizio) molto oppressive, invadenti, opprimenti e case vuote.
Se fosse stata coinvolta la Sacra Romana Rota, non avrebbe potuto che constatare che non vi è mai stato coniugio.
Tre casi di matrimonio come remedium concupiscentiae, prostituzione (non solo femminile, com’è ovvio) legalizzata: pagamento a fronte di un minimo vitale ritenuto necessario e garantito.
Ma gli equivoci spesso chiedono una soluzione, il che non avviene senza danni collaterali.
Mi sovviene ora un altro caso, di una coppia che si è separata e col marito (che ha subito la separazione) che riferisce: la separazione è un disastro, economico, che lo ha impoverito.
Il problema è che era già povero prima, nell’essersi accontentato: la rassegnata unione di due miserie non crea ricchezza.
Il rapporto, se possibile, tra uomo e donna, resta ancora in buona parte da scoprire, non siamo progrediti di molto da Adamo ed Eva.