Palermo a novembre

Stavolta è stata, dopo anni, una nuova serie di prime volte: prima volta che viaggio in aereo in Italia – sempre con Ryanair – prima che, nel corso della vacanza non mangiamo da Mc Donald, prima che andiamo a cena ospiti di amici (di Agostino); tutte banalità registrate a solo fine statistico.

Palermo, al ritorno nella nebbiosa e fredda Modena,  mi ha lasciato con varie perplessità: non ho ancora capito se mi sia piaciuta o meno; è indubbio che dopo Roma  o con Roma, è una delle città in cui ho trovato opere d’arte e d’architettura come mai ovunque, nemmeno nella mia adorata Spagna.

Rimango però stordito dai contrasti: non ho trovato la città che pensavo e questa è, comunque, una buona notizia; l’ho vissuta senza troppo distacco e superiorità (è una tentazione frequente), ho goduto di quel che ho visto e sono rimasto stupito di quel che ho trovato ostico da digerire.

Innanzitutto è una città sporca, molto sporca, camminando bisogna continuamente fare attenzione ai ricordini lasciati in giro dai cani, sono letteralmente ovunque; anche i cassonetti per la raccolta rifiuti non fannno bella mostra di sè: colmi, stracolmi, strabordanti e spessissimo lasciati aperti con vari rifiuti sparsi attorno.

Forse è questo aspetto della città quello che mi ha più colpito: la convivenza, fianco a fianco dello splendore dei palazzi d’epoca, ben restaurati e orgogliosi nella loro lotta contro il degrado e, a meno di due passi, o dirimpetto, l’abbandono più totale, la fatiscenza, lo sporco, le rovine; tutto in continua alternanza così che il paesaggio urbano non è mai omogeneo.

Altro difetto importante il traffico: caotico e rumoroso, normale in una grande città ma inaspettato in una città di mare; mai avrei pensato di sentire con tanta frequenza ed insistenza l’odore penetrante dello smog ed io sono notoriamente uno che non ha il naso sensibile; in certe ore del giorno le strade centrali, il Corso Vittorio Emanuele e la Via Roma diventano collettori di gas di scarico che macchiano i monumenti e intaccano il respiro.

Ulteriore elemento che mi ha lasciato perplesso: l’uso del casco; mi pareva di essere in un posto dove non vi è obbligo ma facoltà di utilizzarlo; ciclomotori e motocicli che sfrecciano a tutta velocità, condotti da centauri senza casco oppure col casco appeso ad un braccio; intere famiglie, padre madre e due bambini su una moto e tutti rigorosamente senza protezione.

L’approssimazione: Palermo ha un tesoro tra le mani, le bellezze che è in grado di offrire, ma le fa fruire con sciatteria come ho sperimentato in varie occasioni che vanno dagli uffici informazioni in piccoli gazebo, trovati chiusi il sabato e la domenica (ma ai turisti chi ci deve pensare?) senza indicazioni degli orari di apertura; un ufficio informazioni, non dirò quale, aveva un addetto gentilissimo ma alle domande sull’apertura di alcuni siti rispondeva candidamente di ignorarlo invitandoci a telefonare a numeri di telefono che ci ha fornito (esatti perlomeno). Devo aggiungere altro? bene vi dirò che mi sono lamentato perchè a Palazzo dei Normanni non vendono una guida di Palermo in italiano – e alle mie rimostranze gentili l’addetta – bella e brava – mi ha ribattuto: “che è venuto a Palermo a lanciare coltelli? da tempo lo abbiamo detto a chi di dovere ma niente e noi qui a rispondere ai turisti che se ne lamentano!”. Ho comprato una guida da Feltrinelli perchè non ne ho trovata una in vendita nei musei o nei palazzi che ho visitato.

Telefonando alla Zisa per sapere se erano aperti lunedì mattina – lo erano – ho chiesto se sapessero se erano aperte pure le catacombe dei Cappuccini, risposta: “non lo so” il che può andare; telefono ai Cappuccini che mi informano gentilmente – non richiesti – che la Zisa che è nelle vicinanze, è chiusa; ovviamente rispondo che no, è aperta, che ho appena telefonato e mi ribattono “no no è chiusa”.

Per visitare Palazzo delle Aquile, sede del comune, si paga un biglietto che è in vendita presso la Galleria di Arte Moderna che dista una decina di minuti (tutta salute se fatti a piedi), il problema è che se uno non lo chiede espressamente non saprà mai che il palazzo è visitabile, cosa in fondo non fondamentale visto che ci sono molte cose più interessanti e tuttavia una bella veduta di Piazza Pretoria dalle finestre del palazzo è comunque piacevole.

Gli addetti alla sorveglianza, in numero spropositato rispetto ai visitatori, spesso rumorosi, chiacchierano a voce alta, fanno capannelli, parlano al cellulare nelle sale, niente di drammatico ma una pessima immagine che sembra suggerire i luoghi comuni su malgoverno, sprechi ed assistenzialismo.

Episodio conclusivo: acquisto il biglietto per Palazzo Abatellis che, mi viene detto, permette la visita gratuita, lo chiedo espressamente per non fare figuracce, anche dell’Oratorio dei Bianchi e di Palazzo Mirto; manco a dirlo arrivo a Palazzo Mirto e mi chiedono di fare il biglietto di 4 € – ovvio che li pago – ma li informo che mi avevano detto che l’ingresso era compreso; “non lo è” è stata la risposta (col depliant che ho ancora sottomano e che parla, tra le altre cose, di “itinerario per la visita ai tre siti della Galleria interdisciplinare di Palazzo Abatellis”.

Dimenticavo che a Palazzo Abatellis non c’è bookshop e, a seguito di mia richiesta (sembro rompiscatole ma non lo sono in realtà), mi consegnano un depliant per un negozio dicendo “dite che vi mandiamo noi”; ci sta scritto che è previsto uno sconto del 10 % a chi consegna il depliant e sono pubblicizzati “shop – souvenir – cd – gadget – bijoux – pen drive …..” e i libri mi domando io? un catalogo del museo? non ho il coraggio di andarci.

Bene dopo queste critiche vengo agli elementi che mi hanno conquistato: le chiese, Piazza Pretoria, i Quattro Canti, i palazzi di Palermo sono uno spettacolo incomparabile. La bellezza è talmente a portata di mano che sembra quasi scontata ovvietà, ma non lo è, manco a dirlo.

Arriviamo, dunque, di prima mattina e ci rechiamo subito in albergo a depositare i bagagli: l’albergo, modesto, un po’ troppo, è gestito da una signora ed un baldo giovane molto gentili e disponibili così che passo ben volentieri sopra le carenze riscontrate; è grazie alla cortesia della signora della reception che abbiamo una mappa della città che utilizzeremo fino a fine viaggio.

Subito ci portiamo in Piazza Pretoria chiamata anche Piazza della vergogna per le numerose statue discinte che caratterizzano la bellissima fontana: è un primo impatto spettacolare confermato poco dopo dai famosissimi “Quattro Canti”, incrocio ornato di statue e palazzi dall’effetto scenografico fuori del comune.

Appena arrivati ed ancora freschi ci spostiamo verso Porta Nuova cioè in direzione Cattedrale: mozzafiato la vista che ci offre, grandioso invito ad approfittare di ogni cultura per creare nuove armonie e la mia spocchia intellettuale di snob occidentale viene richiamata a ben più miti consigli, grazie al cielo me ne accorgo ed approfitto per correggere un pensiero un po’ troppo rigido.

Rischio di essere banale nel ripetere i soliti aggettivi: in questo caso le parole non mi sono di aiuto, ma non è ripetizione sterile quanto esperienza di emozioni susseguenti, come i cavalloni si infrangono sulla spiaggia, uno dietro l’altro sempre diversi seppur simili; sono totalmente affascinato da tanta straordinaria, stupefacente, meravigliosa, quasi miracolosa bellezza.

L’interno della Cattedrale è deludente rispetto a quanto l’esterno lasciava intuire anche se le tombe reali e specialmente quella di Federico II meritano comunque rispetto ed ossequiosa attenzione; peraltro ce ne fossero di delusioni del genere…

Dopo la Cattedrale ci trasferiamo a Piazza Vittoria ed al vicino Palazzo dei Normanni che custodisce un tesoro di ineguagliabile bellezza, la cappella palatina: in queste occasioni sperimento il potere dell’arte sull’animo umano; certo non offre soluzioni, non è nell’arte la salute o la salvezza, ma certo… beh una vaga angoscia mi assale anche se viene spazzata via dalla incantata contemplazione di uno spettacolo che non immaginavo.

Chi mi conosce sa che le chiese sono uno degli obiettivi principali del mio peregrinare ed a Palermo non posso che trovare sovrabbondanza di edifici sacri, così scopro, ancora una volta, una serie di tesori di grandiosa bellezza: l’esperienza cristiana ha prodotto, nei secoli, una multiformità di manufatti incantevoli, ha dato vita a diverse culture e pensieri, stili di vita tutti da scoprire.

Uno degli inaspettati, potrei dire il Begarelli di Palermo, è stato Giacomo Serpotta, autore di capolavori in stucco – come il modenese colla terracotta: da sempre lo stucco, come appunto la terracotta, non mi sono mai piaciuti ma qui, beh, il mio giudizio è variato totalmente: a Serpotta dedicherò una serie di foto a parte.

La chiesa di San Giuseppe dei Teatini è un’altra delle tappe che caratterizzano un primo giorno intensissimo.

Decidiamo poi di andare anche a visitare il Duomo di Monreale; prendiamo il bus – che ha 20 minuti di ritardo – ed arriviamo in questa deliziosa cittadina; non aggiungo altro perchè dedicherò a Monreale una serie di foto a parte.

Le sere sono dedicate alle passeggiate in centro, passando per il Teatro Massimo fino al Teatro Politeama dove avviene una distribuzione di strano cibo, gratuitamente: ressa per accaparrarsene il più possibile; come ben sapete la curiosità non mi manca e vado a vedere… scopro che offrono quelle che, saprò poi, sono le panelle, ossia dei piccoli panini con dentro una strana fettina gialla che potrebbe essere polenta fritta (so che non è possibile ma l’aspetto pareva quello); riesco a mangiarne una che mi lascia indifferente quanto al gusto; un giovane di poco bell’aspetto intavola un mini dialogo sul cibo che interrompo velocemente visto che il dialetto palermitano mi è ostico come l’idioma dei boscimani o degli esquimesi.

Palermo è dotata di almeno tre, quelli che ho visto io, teatri: bel segno di una vita culturale intensa, spero non solo del passato.

Una delle sere è dedicata ad una cena a Bagheria, città che devo tornare a visitare, ospiti di amici di Agostino che mostrano quello che spero essere il vero volto dei siciliani; cordiali, simpatici, ospitali, persone veramente splendide che ci fanno trascorrere una serata all’insegna della buona cucina e della piacevole compagnia.

A Bagheria ci arriviamo in treno ed alla stazione almeno tre/quattro persone attraversano i binari,beh non scandalizziamoci più di tanto, ormai sono rassegnato a questo clima di rilassamento della buona convivenza.

Secondo le mie abitudini cerco di vedere tutto il possibile e questo mi costa una bella faticata cui non mi sottraggo mai, così a piedi, di prima mattina, ristorato dai meravigliosi cannoli che mi sono mangiato senza risparmio, mi dirigo alla Zisa, famosa costruzione siculo normanna un po’ distante dal centro.

L’edificio è molto bello all’esterno ma l’interno è decisamente sottotono e non vale la spesa (6 euro) per visitarlo; al ritorno visiterò, non contento pure la Cuba che è sempre gradevole dall’esterno ma all’interno non ha praticamente nulla se non una muqarnas carina – spero si scriva così – che è quell’elemento architettonico a nicchie così caratteristico dell’arte araba.

Una tappa immancabile, almeno secondo me, erano le catacombe dei Cappuccini, luogo abbastanza macabro ma assai significativo di un’epoca e di un pensiero in difficoltà. Per arrivarci percorriamo una stradina poco accogliente, quasi di crosa visto che un signore ci ha messi sull’avviso; Agostino teme che andando così veloci ci “sgamino” ma siamo gli unici ed io ho pure macchina fotografica a tracolla e zainetto quindi bersagli facili: fortunatamente ci va bene e nessuno ci disturba.  Si pagano dunque tre euro per entrare in questi corridoi dove sono esposti scheletri e mummie, con vestiti ancora dell’epoca e con ghigni a volte davvero impressionanti: sconsigliato ai bambini e agli impressionabili.

Tipico di un Seicento che esorcizza la morte facendone uno spettacolo macabro – ricordo le cappelle della chiesa di San Francesco a Roma, chiesa che si trova alla base di via Vittorio Veneto, fatte con le ossa dei frati defunti; mi spiego meno il permanere di queste pratiche fino agli inizi del Novecento visto che l’ultima mummia è quella di una bambina sepolta nel 1920.

Usciti da questo cupo antro che tanto schifa il mio compagno di viaggi, torniamo verso il centro visitando la Cuba, buttando un occhio nell’ospizio delle povere ora sede universitaria per separarci poi nel pomeriggio.

[nggallery id=64]

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.