Venerdì sera, venerdì santo, ho accolto l’invito degli amici Gabriele e Silvia e sono “corso” al Regio per assistere, anzi ascoltare la “Musica instrumentale sopra le 7 ultime parole del nostro Redentore in croce ovvero Sette Sonate con una introduzione ed alla fine un Terremoto” di Franz Joseph Haydn. Erano secoli che non mettevo piede nel teatro cittadino, che ho trovato frequentato da un po’ di signore dall’aspetto decisamente snob.
A parte questa nota di colore, la musica mi è piaciuta, tutto sommato, anche se non mi è parsa congruente col titolo: mi aspettavo una musica che evidenziasse sentimenti se non di tragedia, di dramma intensissimo e invece nulla di tutto questo.
Non era musica sacra o perlomeno a me non è parsa esserlo, non che sia un difetto ma visto il titolo e considerando che è stata pensata per un cerimonia nella cattedrale di Cadice, dunque nella mia eccessiva Spagna, credevo di ascoltare qualcosa di straziante.
L’esperienza mi ha comunque rappacificato col teatro visto che l’ultima volta che ci sono stato, sempre con Gabriele e Silvia, risale a secoli orsono in occasione di un Roméo et Juliette di Charles Gounod, se non sbaglio nel lontanissimo 1999. Una pizza in francese che mi aveva letteralmente stroncato lo stroncabile ed anche qualcosina in più; stavolta è andata meglio.
La musica, ahimè, non mi stimola particolari considerazioni, sono un assoluto ignorante in materia però mi tornano alla mente un paio di ricordi delle scuole medie.
Uno è relativo alla mia insegnante di musica, si chiamava Losi, se non ricordo male, con la quale, manco a dirlo, mi trovavo assai bene; con lei ho avuto modo di ascoltare alcuni concerti d’organo, ma il ricordo è molto molto sfumato; poi ci fu un’occasione, nella palestra dell’allora scuola media Pietro Giordani, oggi trasformata in sede della provincia, in cui vennero alcuni maestri coi loro strumenti e ci fu la possibilità di porre alcune domande.
Quella che posi io, ancora me la ricordo con un certo ribrezzo, fu una domanda scemissima ma che già denotava una caratteristica che ancora mi accompagna e che non rivelerò per pudore.
Per darne, tuttavia un esempio, ricordo che quando mi sottoposi al test di Rorschach e mi fu sottoposta una certa macchia di colore, nel centro individuai, con grande precisione e profluvio di dettagli, un’icona con l’immagine del Sacro Volto, sorretta agli spigoli superiori da due frati con tonaca nera, forse gesuiti, che stavano cadendo dall’alto.
Quando ebbi modo di discutere il test mi venne chiesto, solo alla fine, però, come extra, di indicare dove vedessi tal scena così ben dettagliata, al che io, senza esitare, indicai col dito una porzione di macchia che credo avesse le dimensioni di … non saprei ma una cosa minuscola minuscola. Notai una certa reazione di sconcerto, nonostante la mia sicurezza in proposito: credo che oggi sarei meno perentorio ma temo non meno dettagliato nella descrizione.
Ricordo anche e molto chiaramente come non amassi la palestra della scuola e come vivessi come una tortura il dover fare le due ore settimanali di ginnastica: non so come funzioni oggi ma allora era tempo sprecato; ho pensato più volte anche di chiederne l’esenzione ma il mio medico di allora non fu mai compiacente, acciderbolina.
Non dico che le avrei sostituite addirittura con due ore di disegno, altra bestia nera all’epoca, ma avrei preferito sicuramente due ore in più di italiano o latino (eh già in seconda media lo studiavamo ancora) o matematica ed anche di inglese (che diventerà un mio incubo al liceo purtroppo). La percezione del mio corpo dei tempi era vagamente impietosa (non che oggi sia migliorato) e la promiscuità degli spogliatoi, luoghi peraltro di enorme pudicizia, oggi impensabile credo, in cui nessuno si faceva la doccia o sognava anche soltanto di cambiarsi mutande e canottiera non aiutava. Così come mi era di ostacolo il dover compiere esercizi che mi parevano delle torture: vaghe rimembranze di esercizi da compiere in due, di stretching, di corsa oppure addirittura, di arrampicata non so se sulla corda o sulla pertica.
Sono dell’idea che la ginnastica non debba essere insegnata a scuola ma lasciata alla libera iniziativa dei genitori e dei ragazzi.