Riprendo la sintesi del lavoro di George L. Mosse “Il razzismo in Europa”; siamo al IV capitolo dedicato a due figure di spicco nel lungo tragitto di elaborazione del razzismo in Europa: Arthur de Gobineau e Georges Vacher de Lapouge. Inutile ripetermi nel tessere le lodi di un testo che va letto e goduto nella sua interezza.
Il conte Arthur de Gobineau utilizzò materiali presi dalla linguistica, dall’antropologia e dalla storia per costruire un sistema intellettuale in cui la razza era il fulcro e la spiegazione del passato, del presente e del futuro.
Il suo Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane, 1853-1855, è la raccolta di tutte le sue teorie razziste da lui elaborate per via di un’ossessione personale di tipo psicologico: egli era infatti orgogliosissimo dell’antichità e del suo lignaggio di nobile, ma il suo ramo familiare non era affatto nobile e lui si era appropriato di un titolo appartenuto ad uno zio, di cui non aveva diritto.
La nobiltà, per questo autore, era necessaria per l’instaurazione nel mondo delle autentiche virtù quali cavalleria, onore e libertà come erano incarnate nell’antica organizzazione tribale teutonica, in realtà più sognata che reale.
In queste teorie non nuove Gobineau inserì le sue personali riflessioni sui pericoli dell’era moderna vista come centralizzatrice, in cui le masse e i nuovi cesari annientavano la libertà della virtù.
Quando Gobineau scrive, il suo incubo sembra diventare realtà: Napoleone III, nel 1851, aveva effettuato un colpo di Stato e la sua dittatura era stata ratificata dal popolo; egli vedeva il futuro dominato dalle masse, ma cosa aveva portato a questo?
Secondo la sua idea il mondo era dominato da una serie di civiltà che, a suo parere, non erano influenzate dall’ambiente circostante poiché in una stessa regione geografica potevano convivere diverse civiltà; la nascita, lo sviluppo e la fine di una civiltà dipendeva solo da una causa: “lo spirito della razza dominante”.
Gobineau classificava le razze secondo una tradizione consolidata, tre sarebbero quelle esistenti nel mondo, gialla, nera e bianca, ciascuna produttrice di una propria civiltà.
La struttura sociale e la cultura di ogni civiltà avrebbero spiegato il ruolo che la stessa avrebbe giocato nel mondo; questi effetti, della cultura della società di ogni razza, furono estrapolati da Gobineau e attribuiti alla struttura sociale francese; la sua importanza sta appunto in questo: l’aver fatto della razza la chiave della storia del mondo ma anche l’avere introdotto il concetto che l’osservazione delle razze straniere può essere utile per spiegare le frustrazioni del proprio paese.
Secondo Gobineau la razza gialla era materialista, pedante e molto orientata ad un benessere materiale non creativo, priva di immaginazione e con una lingua incapace di esprimere pensieri metafisici (rilievo già mosso alla lingua cinese da Friedrich Schlegel); questa razza era destinata a realizzarsi nel commercio e negli affari, cioè nell’ambito tipico della borghesia francese che Gobineau accusava di avere distrutto la vera Francia fondata su regionalismo, nobiltà e contadini; è ovvia la conclusione: la razza gialla, come la borghesia, è priva delle caratteristiche virtuose della vera nobiltà.
Mentre i neri sfuggono allo schema della politica contemporanea di Gobineau, essi godevano degli ormai consueti attributi razziali quali scarsa intelligenza e sensi sviluppati all’eccesso in virtù dei quali essi avevano un potere rozzo ma terrificante; i neri erano visti come plebe sfrenata, come quelle masse che erano scese in campo durante la rivoluzione francese, eterni sans-culottes che avevano collaborato con la classe media per distruggere l’aristocratica Francia tanto amata da Gobineau.
La razza bianca, infine, rappresenta l’ideale della Francia, essa è l’incarnazione della nobiltà con tutte le virtù correlate, amore per la libertà, onore, spiritualità.
La sua dimostrazione è basata sulla linguistica e sull’idea che la razza bianca è rappresentata dagli ariani, “congenitamente” superiore agli altri grazie alle virtù da loro incarnate e mancanti alle altre razze.
Assume in questo caso, come spesso nel pensiero razzista, un rilievo essenziale la teoria delle origini: gli ariani avrebbero dato per la prima volta un’elite all’India quindi avrebbero fondato il ceppo teutonico, dotato di libertà e onore, il contrario di materialismo e sensualità dei gialli e dei neri, caratteristiche di una nobiltà che governava non con la forza ma col suo incontestabile valore.
Purtroppo, a dire di Gobineau, nella contemporaneità gli ideali della razza bianca si erano persi a causa della centralizzazione e del governo con la forza che avevano scalzato l’esemplarità dell’aristocrazia, la borghesia aveva corrotto la nobiltà ed il popolo era condotto da falsi capi.
La causa di questa decadenza viene individuata nella mescolanza delle razze: la razza bianca che si mescola con quelle inferiori è costretta a degenerare cioè a perdere gli intrinseci valori posseduti in precedenza perché nelle vene non scorrerebbe più lo stesso sangue puro.
Gobineau spiegava la degenerazione della razza bianca sostenendo che i primi abitanti dell’Europa fossero di razza gialla, cui si sarebbero poi sovrapposti gli ariani che però avrebbero poi finito col miscelarsi con questi gialli “finnici” e questa mescolanza delle razze stava minando la razza bianca.
Egli credeva nell’ascesa e nella caduta delle civiltà: l’ariano aveva creato la civiltà attuale ma l’incrocio con le altre razze la stava facendo decadere; in questo dramma di ascesa e decadenza delle civiltà la posta in gioco era la razza bianca vista sempre più simile a quella gialla per via del materialismo e simile a quella nera in quanto plebe che deve essere governata con la forza.
Le razze inferiori erano destinate, secondo Gobineau, a dominare nella successiva fase storica.
Egli condannava la schiavitù e si lamentava di come la confederazione americana avesse utilizzato il suo saggio, censurandone le sue conclusioni pessimistiche.
Gobineau non era, invece, antisemita: considerava il popolo ebreo libero, forte e intelligente, composto di contadini e guerrieri che aveva espresso più uomini di cultura che mercanti, tuttavia la mescolanza con elementi neri ne aveva comportato il declino, l’ebreo condivideva insomma la stessa sorte degli ariani.
Successivamente, a fine secolo, le sue idee furono riprese per dimostrare la superiorità tedesca contro gli ebrei, sebbene questo sicuramente non rientrasse nelle intenzioni di Gobineau.
Il suo pensiero fu utilizzato per dimostrare la superiorità germanica ma anche questo, contro le sue intenzioni; egli disprezzava l’Inghilterra considerata come il più borghese degli stati, era fautore del regionalismo tedesco, ma, soprattutto, era rassegnato al destino di declino della razza bianca.
Il pessimismo di Gobineau non durò per tutta la sua vita, con l’opera Il Rinascimento, del 1877, egli attinse all’esperienza del rinascimento italiano come modello per il futuro: un’elite al di sopra della massa avrebbe potuto ancora salvare la razza bianca, riprendendo gli antichi valori dei greci e dei romani.
Negli ultimi anni di vita Gobineau divenne amico di Richard Wagner che contribuì a far conoscere le sue opere poiché in esse aveva trovato conferma al proprio razzismo.
Attraverso il circolo di Bayreuth il pensiero di Gobineau penetrò in Germania tra i gruppi di destra; in particolare la lega pan germanica fece proprio il suo pensiero e lo diffuse grazie ai numerosi insegnanti che vi appartenevano.
Bayreuth e la lega pan germanica snaturarono il pensiero di Gobineau, anzi lo adattarono alle esigenze tedesche.
Sia Wagner che i pangermanisti accusavano gli ebrei di essere i pervertitori della nazione a causa della loro supposta opposizione a militarismo ed espansionismo: le condanne di Gobineau, indirizzate alla razza gialla e nera, venivano deviate così verso gli ebrei.
La superiorità dell’ariano, considerato il ricettacolo di ogni virtù e cultura, cara a Gobineau, trovò accoglienza in Germania, non invece nella destra francese che, essendo cattolica, resisteva a qualunque teoria razziale che negasse l’efficacia del battesimo ai convertiti.
L’ Action Française, nata nel 1899, ignorò Gobineau perché fautrice di un antisemitismo basato sull’idea che il cattolicesimo fosse la fede storica della nazione francese e chiunque non la condividesse era considerato come un’insidia per la Francia.
L’Action Francaise valorizzava il legame con la terra, cioè i piccoli proprietari terrieri e vedeva negli ebrei i rappresentanti di un capitalismo inquieto e minaccioso.
Gobineau fu anzi attaccato da Maurice Barrès per la sua idea di una nobiltà cosmopolita vista come una minaccia all’unità nazionale; la sua riscoperta si ebbe solo negli anni Trenta del XX secolo ma il suo pensiero rimase comunque marginale; nonostante questo alcune sue idee sono rintracciabili nel pensiero del botanico svizzero Alphonse de Candolle e nel suo discepolo il conte Georges Vacher de Lapouge, un avvocato bibliotecario che fu il più importante teorico della razza in Francia.
Questi due, a differenza di Gobineau, cercarono di basarsi su presunti dati scientifici, con richiami agli studi di Darwin.
Le loro tesi, per quanto assolutamente soggettive, erano esposte con uno stile che li faceva considerare come scienziati e non profeti di una nuova religione razzista.
Vacher de Lapouge condivideva il pessimismo di Gobineau: la forza vitale della nazione si era persa per via della degenerazione della razza e il predominio di una plutocrazia.
Nella sua opera, L‘ariano, il suo ruolo sociale, del 1899 egli indicava come razza superiore l’uomo europeo e relegava la nazione ad un ruolo secondario.
Ammirava il genio greco, mai più superato nella sua armonia; tra i greci egli considerava migliori gli spartani, razza dotata di una volontà di ferro, virtù morali e capacità intellettuali, erano essi i discendenti degli originali ariani che erano legati strettamente alla natura: una razza di pescatori, cacciatori e pastori.
Le origini ariane, secondo de Lapouge, erano identiche a quelle che pensavano di avere scoperto i linguisti anche se fece uso delle misurazioni craniche e non della lingua per sostenerlo.
Egli fu, così, il punto di sintesi di numerose tendenze del pensiero razziale allora circolanti.
A questo punto l’ariano affrontava la sfida per la sopravvivenza dato che de Lapouge, influenzato da Darwin, sosteneva la selezione naturale e la sopravvivenza del più adatto: l’ariano, per natura contadino, era però in grado di svolgere qualunque lavoro; egli ignorava l’ozio tipico delle razze inferiori e incarnava il vangelo del lavoro.
Ancora una volta un ideale della classe media contribuiva alla definizione degli ariani i quali, peraltro, pur essendo degli individualisti, erano anche in grado di mettere le proprie capacità al servizio del bene comune.
Quest’ultimo fatto aveva una particolare importanza per de Lapouge che aveva trasformato la lotta darwiniana dell’uno contro tutti in una lotta tra gruppi umani: la fabbrica al posto della bottega e l’esercito al posto del combattimento individuale.
A differenza di Gobineau, de Lapouge inseriva il mondo moderno nel suo schema razziale perché, essendo un darwinista sociale, considerava che il progresso del mondo passasse attraverso la selezione naturale determinata dalla lotta per l’esistenza.
Ma chi era il nemico razziale per de Lapouge? Le razze inferiori come quella gialla e quella ebraica, prive di scrupoli e di valori, interamente dedicate al commercio.
La borghesia sembra, a questo punto, rappresentare il nemico ma de Lapouge introduce una distinzione essenziale del pensiero razzista: la società commerciale ariana vive del lavoro onesto, gli ariani rispettano i valori a cui tengono anche nell’esercizio delle attività speculative, mentre gli ebrei amano la speculazione per se stessa.
La borghesia ariana per sopravvivere deve, dunque, annientare la borghesia ebraica.
Secondo de Lapouge, l’ebreo viene quindi identificato come nemico e rivale assieme, comunque impossibilitato a vincere la lotta con gli ariani perché essendo razza inferiore era privo di spiritualità, di istinto politico e incapace di combattere.
Il pessimismo di de Lapouge appare, di conseguenza, contraddittorio, egli, infatti, cerca un rimedio per la situazione attuale che consiste nel liberare l’albero razziale francese dalle pericolose muffe che vi si erano depositate sopra.
In primo luogo il cattolicesimo che aveva indebolito la vitalità della razza, esaltando la rassegnazione di fronte al predominio ebraico; de Lapouge esaltava il protestantesimo perché incoraggiava all’azione, al lavoro onesto ed esaltava la forza di volontà; inoltre egli riteneva il protestantesimo più adatto ad assimilare gli ebrei, questi, una volta assimilati, avrebbero perso il loro spirito razziale e perciò anche la loro capacità di sopravvivenza.
In secondo luogo erano da eliminare la degenerazione fisica, causa della perdita di forza e bellezza per gli ariani, e i mali ereditari che la degenerazione faceva presagire.
Dovevano essere evitati gli incroci razziali per evitare la contaminazione e praticanti e i frutti di tali incroci dovevano essere eliminati attraverso l’eutanasia.
Segni di degenerazione erano anche l’urbanesimo e la plutocrazia fondati sulla cupidigia e il predominio ebraico, segnali che ormai il genio ariano non poteva più competere col suo solo lavoro onesto con la società giudaizzata.
De Lapouge proponeva come rimedio alla degenerazione razziale la società socialista che era l’unica in grado di poter prendere misure coercitive per impedire matrimoni sterili e imporre alle donne un regolare ritmo di gravidanze.
Il problema del calo demografico della popolazione francese era un segno, per de Lapouge, della sterilità degli ariani.
Anche l’eugenista inglese Karl Pearson, all’inizio del XX secolo, sosteneva che il socialismo potesse imporre l’eugenetica, una politica, cioè, che assicurasse la perpetuità della razza libera da infermità ereditarie e segni di degenerazione; peraltro una razza sana non avrebbe corso il pericolo della diminuzione di fecondità.
De Lapouge e con lui altri teorici della razza non erano distanti dalle posizioni dei loro contemporanei socialisti fabiani e in particolare Sidney e Beatrice Webb che pensavano che il declino della fecondità e il conseguente deterioramento della razza anglosassone fossero un pericolo per il socialismo poiché l’unica razza adatta a costituirlo sarebbe stata sopraffatta dai bastardi: socialismo ed eugenetica, così come socialismo e razza non erano concetti tra loro in conflitto.
De Lapouge esercitò un’influenza in Francia molto superiore a quella di Gobineau poiché fu il primo francese a riuscire a conciliare le teorie darwiniane con il razzismo.
Ma altri contributi erano pronti a venire dall’Inghilterra: nuove concezioni sulla selezione e la sopravvivenza ed il movimento eugenetico stavano preparando i loro contributi alle teorie razziste.