100 giorni e incidenti di inseminazione

Dopo una giornata infernale come quella di ieri, e non solo per il decesso dello zio Giorgio, oggi posso “festeggiare” i famosi  100 giorni all’alba, mancano cioè 100 giorni alla scadenza dei cinque anni che mi impediscono di chiedere una eventuale mobilità; si tratta di una data simbolica perché, purtroppo, non ci sono, al momento, vie d’uscita possibili, tuttavia è uno spiraglio e di non poco conto.

Quel che mi dispiace, e me assumo totalmente il carico, è di non essere riuscito a costituire dei momenti di soddisfazione professionale, se non con una sporadicità deprimente e con persone esterne al normale ambito di lavoro.

Ho vissuto di kronos, non essendomi riuscito il cogliere o porre alcun kairos.

Mi è venuta, forse per compensazione, una certa “fame” intellettuale e, in questo periodo, mi sto leggendo vari testi molto interessanti, da Shakespeare a George L. Mosse, ma anche questi sono ben lontani dal lavoro che, mediocremente, sto svolgendo.

Scopro un piacere intellettuale che temevo di aver perduto (o mai avuto) ed insieme l’isolamento che tocco con mano, in ufficio, ogni giorno.

Mi affido anche ai sogni, non quelli ad occhi aperti che mi hanno offerto, ultimamente, delle buone occasioni per meditare sull’ideale.

Ideali come lavorare in un certo modo, svolgere (o non svolgere) un certo lavoro sono perniciosi ed ora sto iniziando a scoprirne i malefici effetti anche se non riesco a liberarmene così facilmente.

Di certo oggi mi vergogno del lavoro che faccio, della posizione che occupo, del conto in banca che non ho.

Provo vergogna ma, salvo giorni come ieri, non disperazione.

Leggere, anche se è stato un modo per sfuggire ad una insoddisfacente realtà, è però riabilitare il pensiero, far sì che si apra ad altri per essere fecondato (la passività freudiana).

Sono disponibile alla fecondazione, il che mi rimanda ad un curioso articolo del Corriere che tratta di una caso assai “simpatico”: una coppia di lesbiche, dopo mesi e mesi di approfondite riflessioni, aveva deciso di far nascere una bambina (guarda caso), bionda e con gli occhi azzurri, ma per errore della clinica del seme, ne è venuta una razza mista, di colore.

Le due donne la amano ma sono in crisi e stressate perché vivono in un paese, l’Ohio, bianco e conservatore e temono, per la piccola, discriminazioni.

In un paese così conservatore e razzista (una delle due dice della propria famiglia che si vergogna di lei e vorrebbe che non manifestasse pubblicamente i suoi orientamenti omosessuali) è un problema la pelle nera o l’essere figlia di due lesbiche bianche?

Mi sembra di poter fare una distinzione: la madre voleva essere inseminata, non fecondata; il destino, cinico e baro se n’è fatto beffe e ha dato alla coppia una bambina diversa da quello che era stato programmato.

Offerta involontaria ed inconsapevole di poter diventare madre, cioè genitore di qualcuno che è diverso dai riflessi dello specchio.

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